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PIEDE PIATTO

Il piede piatto può essere patologico o fisiologico

  • Se non è sintomatico o degenerativo, si tratta di una semplice caratteristica, come il colore degli occhi. 
  • Se invece provoca dolore e limitazioni funzionali al paziente, influenzandone la qualità di vita, necessita di un supporto medico. 

In questo articolo vediamo in dettaglio le caratteristiche del piede piatto: le differenze fra i vari tipi, i sintomi, le diagnosi e le terapie disponibili.

Cos’è il piede piatto

Il piede piatto è forse la più comune deformità del retropiede.

La sua caratteristica principale è la presenza di un arco plantare più basso della norma e quindi di una superficie d’appoggio più ampia. Per questo nei test con i piedi bagnati l’impronta risulta insolitamente larga: l’intera pianta del piede, o quasi, tocca la superficie e rimane visibile sulla carta. 

Vista laterale di un piede piatto a confronto con un piede sano e rappresentazione grafica delle impronte lasciate da ciascuno.
Tuttavia, il termine “piede piatto” racchiude uno spettro molto diverso di condizioni, non sempre patologiche.

  • Nell’infanzia, fino ai 6-7 anni, è fisiologico e tende a correggersi spontaneamente con la crescita.
  • Anche quando permane in età adulta può essere una caratteristica innocua. Per alcuni tipi di sport, come il nuoto, è addirittura vantaggioso.
  • Quando provoca dolore o limitazioni funzionali, in genere è considerato patologico.
  • Anche in presenza di un peggioramento progressivo della deformità, che col tempo va a danneggiare le strutture circostanti, si parla di piede piatto patologico.

Se è una semplice caratteristica anatomica il piede piatto può essere asintomatico o, tutt’al più, esporre il paziente ad infiammazioni ricorrenti a livello del seno del tarso (sovraccarico biomeccanico). Queste sono gestibili modificando l’appoggio con plantari e scarpe dedicate durante l’attività sportiva o nella quotidianità.

Può, ancora, essere caratterizzato da una connotazione anatomica più marcata, che espone a tendinopatie achillee, senza rientrare nella sfera della patologia. Si tratta di condizioni cliniche gestibili con l’introduzione di un’attività fisica appropriata, che dedichi tempo e attenzione allo stretching del tricipite e della muscolatura posteriore della coscia.

Quando è effettivamente patologico, invece, la situazione è più complessa.

 

I sintomi del piede piatto patologico

Piede piatto o PTT disease: sono diversi modi per definire patologie molto simili.

Si tratta di una deformità complessa che coinvolge più articolazioni. Può arrivare a determinare patologie dell’avampiede (quali alluce valgo e dita a griffe), ma può anche provocare alterazioni a livello della caviglia.

I sintomi iniziali in genere sono tre:

  • dolore mediale, che si colloca a livello del tendine tibiale posteriore
  • dolore laterale, sotto al malleolo esterno, dovuto a un sovraccarico dell’articolazione sotto-astragalica 
  • crampi frequenti al polpaccio o alla fascia plantare

Nel seguente video trovi una guida visiva per identificare e distinguere i sintomi dolorosi causati dal piede piatto: 

 

Questi sintomi hanno cause specifiche, dovute all’anatomia del piede e della sua deformazione.

 

Caratteristiche anatomiche del piede piatto

Il piede è costituito da circa 28 ossa, numerosi muscoli e articolazioni, ma sono 3 le strutture che vengono coinvolte quando si parla di piede piatto:

  • l’astragalo
  • il calcagno
  • il tendine tibiale posteriore

Da un punto di vista squisitamente medico e ortopedico il piede piatto vede infatti un “collasso” dell’astragalo che tende a verticalizzarsi e una tendenza del calcagno a valgizzarsi.

Vista da dietro di un piede piatto a confronto con un piede sano.

Usando una terminologia più semplice e meno tecnica il piede piatto si presenta con la tendenza della parte centrale del piede ad appiattirsi e cedere verso l’interno, mentre il calcagno viene spinto per compenso verso l’esterno.

Il tendine che più di tutti soffre per questa alterazione della forma è il tibiale posteriore che si ritrova teso e stirato nel tentativo di sorreggere la volta plantare.

 

Le conseguenze di un piede piatto patologico

Quando il piede piatto è instabile (instabilità peritalare mediale) il tendine che si ammala è il tendine tibiale posteriore.

Si tratta di vere e proprie tendiniti che evolvono in tendinopatie croniche e degenerative, inducendo una condizione patologica. E’ una condizione che inizialmente può essere curata conservativamente, ma che nelle sue evoluzioni richiede un approccio chirurgico. Questo varia in base alle caratteristiche della deformità e alla sua evolutività.

Esistono anche piedi piatti in cui il rischio principale è proprio l’evolutività, ossia la tendenza a progredire e peggiorare nel tempo.

La TAC in carico ha permesso di individuare il problema, che oggi e’ denominato con una definizione innovativa: Progressive Collapsing Foot.

Questa condizione, solo nei suoi stadi più avanzati, può coinvolgere la caviglia ed essere responsabile di artrosi.

Sono casi isolati, non frequenti e complessi da curare, che possono arrivare a richiedere soluzioni chirurgiche che prevedano protesi di caviglia in associazione a osteotomie o artrodesi di correzione del retropiede.

Il primo segnale d’allarme può essere il dolore all’interno della caviglia (in prossimità del malleolo tibiale). In questo caso è la sofferenza del tendine a provocarlo. Quando è il valgismo del calcagno a dare problemi, invece, la sintomatologia dolorosa si avverte sulla superficie postero-laterale del retropiede.

Quindi, dolori opposti, per la stessa patologia: per questo è fondamentale una visita medica specialistica e non un approccio casuale al problema.

Diagnosi di piede piatto

 
È durante una visita specialistica che, osservando la camminata del paziente a piedi nudi, si definisce una prima diagnosi di piede piatto. Spesso bastano pochi passi per farlo.

Per questa diagnosi sono fondamentali:

  • la storia del paziente;
  • il suo lavoro;
  • lo sport praticato;
  • l’osservazione dell’usura delle sue scarpe.

Tutto questo fa parte dell’anamnesi. Per prendere delle decisioni specifiche ci si baserà poi su radiografie eseguite in carico, cioè stando in piedi.

Infatti, è in posizione eretta che il piede lavora e fa male ed è in posizione eretta che va studiato. Questo è il motivo per cui una radiografia in carico offre spesso più informazioni di una risonanza magnetica (esame che si esegue sdraiati).

Tuttavia, in alcuni planning chirurgici, possono risultare necessarie particolari proiezioni, ossia altri tipi di radiografie.

Imaging del piede di un paziente con piede piatto dopo la ricostruzione della deformità.

Ricostruzione combinata di una deformità in pronazione (piede piatto): riallineamento simultaneo dell’alluce e del retropiede (osteotomia di medializzazione di calcagno).

Nel mio personale planning chirurgico ritengo importante richiedere una proiezione radiografica, ideata dal collega Charles L. Saltzman, che si esegue in carico, da posteriore con inclinazione del raggio a 20 gradi.

Si tratta di una semplice radiografia effettuata in una posizione che consente di studiare meglio la correlazione tra la posizione del calcagno, dell’astragalo e della tibia. Questo mi aiuta a descrivere e studiare l’apice della deformità.

Per studiare patologie legamentose e tendinee concomitanti, come quelle che coinvolgono il tibiale posteriore, lo spring ligament o il legamento deltoideo, possono essere richieste risonanza ed ecografia.

Uno studio TAC è invece fondamentale nei casi di deformità più avanzata per studiare il bone stock (l’osso su cui lavorare, disponibile al chirurgo) e la degenerazione delle articolazioni.

 

Classificazione del piede piatto

Con orgoglio posso affermare che una delle classificazioni più utilizzate per parlare di piede piatto è quella di Bluman e Mark Myerson, il mio maestro.

La classificazione di Bluman e Myerson prevede una suddivisione dei gradi di piattismo del piede in 4 gradi a seconda dell’interessamento:

  • del retropiede isolato,
  • del retropiede,
  • dell'avampiede,
  • di piede e caviglia.

Inoltre prende in considerazione la possibilità di ridurre o meno la deformità manualmente.

Si parla, pertanto, di piede piatto flessibile (correggibile manualmente) o piede piatto rigido (non correggibile).

La classificazione benché molto intuitiva, comprende vari sottogruppi e ci aiuta ad analizzare con precisione la clinica per proporre una terapia efficace, spesso chirurgica, al paziente.

Il privilegio di questa classificazione è la semplicità:

  • primo grado per il piede piatto patologico che merita iter conservativo;
  • secondo grado per il piede piatto flessibile, ossia correggibile con osteotomie senza necessità di utilizzare artrodesi e, quindi, senza bloccare alcuna articolazione;
  • terzo grado per il piede piatto rigido, che richiede interventi di artrodesi di retropiede, senza coinvolgere la caviglia;
  • quarto grado per il piede piatto avanzato che ha coinvolto nella patologia la caviglia e che puo’ richiedere l’utilizzo di protesi di caviglia associate a procedure di correzione del retropiede (osteotomie e artrodesi).

Oggi, l’introduzione della TAC in carico come metodologia diagnostica ha portato a superare questa classificazione semplice e schematizzata, introducendo il concetto di Progressive Collapsing Foot con una classificazione e un algoritmo terapeutico più elaborato.

Siamo di fronte davvero ad una rivoluzione epocale, in cui, nei centri di riferimento, abbiamo accesso a una tecnologia che permette di studiare il piede in carico (ossia stando in piedi), offrendo immagini reali, tridimensionali e non “piatte”, su due dimensioni, come nel caso di una radiografia.

Questo ha permesso di sviluppare misurazioni nuove e di riutilizzare angoli e misure lineari valide per le radiografie piane in modo diverso e più completo.

tac in carico piede piatto

Oggi è chiaro che il Progressive Collapsing Foot è molto più complesso di quanto non sembri.

Si è di fronte ad una patologia che ha una evoluzione fluida ed in cui è importante comprendere la deformità per pianificare ed agire tempestivamente ed evitare un peggioramento della deformità e di conseguenza della prognosi per il paziente.

Il vantaggio ulteriore della TAC in carico è che questo strumento, pensato come un puro strumento diagnostico, oggi è anche un vero e proprio strumento operativo.
Infatti, grazie ad applicazioni come BoneLogic (Disior), al mio gruppo è possibile eseguire un planning delle correzioni, comprendendo ed analizzando su un modello tridimensionale l’impatto di ogni correzione scheletrica.

L'imaging si fa operatività.

Realtà aumentata e robotica anche in questo campo fanno e faranno il resto.

 

Cause del piede piatto

In realtà non si conosce una vera e certa eziologia del piede piatto. 

Un ruolo sicuramente importante, ma ancora non pienamente compreso è svolto dal tendine d’Achille. Infatti un tricipite surale contratto può forzare il piede in un atteggiamento di pronazione.

Un altro imputato è il tendine tibiale posteriore che va spesso in crisi, provocando dolore nel paziente con sindrome pronatoria. Anche in questo caso però non è ben chiaro se il dolore a livello del tibiale posteriore sia la causa o la conseguenza del piede piatto e quindi del cedere della volta mediale.

Possiamo affermare che sicuramente la genetica riveste un ruolo importante ed è alla base di questa patologia, ma vi sono anche forme acquisite:

  • post-traumatiche;
  • legate ad altre patologie come l’artrite reumatoide;
  • neurologiche (molto più rare e più tipiche del piede cavo).

È scorretto pensare invece che l’obesità possa essere la causa del piede piatto: vi sono molti soggetti obesi che hanno un piede cavo. 

Indubbiamente però il sovrappeso può accelerare i sintomi e aggravarne lo stato.

Terapia conservativa per il piede piatto

Il piede piatto non sintomatico non si cura, a meno che manifesti caratteristiche evolutive particolari.

Questo principio vale anche per terapie conservative, come plantari o altre ortesi.

È, infatti, opinione diffusa che un plantare possa correggere una deformità o prevenirla. Non è vero!

L’unica eccezione vale per gli atleti professionisti o sportivi ad alta richiesta funzionale. In questo caso, uno studio del passo associato alla comprensione da parte del medico del gesto tecnico sportivo e delle metodologie di allenamento, può indurre prescrizioni di terapie ed ortesi che aiutino il soggetto a spingersi un po’ oltre i propri limiti, rendendo più efficiente il suo “sistema piede e caviglia”.

Un ulteriore distinguo meritano i maratoneti ed i runners più in generale, dove l’evoluzione delle calzature rende necessaria una consultazione con uno specialista, che non può risolversi nell’opinione del tecnico del negozio di articoli sportivi, per quanto preparato possa essere.

Una guida autorevole aiuta la prevenzione e permette di scegliere correttamente tra scarpe da pronatore, neutre o da supinatore. Inoltre permette di considerare scarpe Five Fingers (da Barefoot running) e calzature minimaliste.

Nei pazienti sintomatici, invece, i plantari possono trovare maggiore applicazione.

 

L’uso dei plantari nei pazienti con sindrome pronatoria

A differenza dei casi asintomatici, nel paziente comune che lamenta sintomatologia, il plantare può rappresentare un valido strumento di compenso. Certo non può garantire la correzione, ma quando indossato favorisce i tendini sofferenti, facendoli lavorare su bracci di leva più vantaggiosi.

Una donna prova un plantare per piede piatto.

Anche in questo caso, come per lo sportivo, esistono calzature con modifiche particolari (quali le famose MBT o, per pazienti con deformità più gravi, le “scarpe ortopediche”) che possono, in casi selezionati, rappresentare un valido aiuto.

Un ulteriore strumento, in caso di deficit legamentoso, sono i tutori che, tuttavia, sono spesso una soluzione temporanea, da utilizzare in attesa che il paziente guarisca dall’instabilità con un’opportuna riabilitazione o dopo un’eventuale scelta chirurgica.

Ovviamente, quand’anche ci si trovi di fronte ad una patologia da non operare sarà importante utilizzare sia i plantari quanto le terapie (Cheltherapy, Laser E2C, TecarTerapia, InterX): i due trattamenti devono coesistere per dare il massimo dei risultati sia in termini di efficacia che di ottimizzazione dei tempi di guarigione.

Medicina rigenerativa e piede piatto

Nell’ultimo miglio, quello che precede la scelta chirurgica, le infiltrazioni con PRP (fattori della crescita) e le cellule multipotenti del tessuto adiposo (grasso) possono ancora dare qualche risultato.

Si potrà procedere con tali infiltrazioni solo in assenza di danni neurologici e quando il piede è compensato da un punto di vista biomeccanico.

La tecnica consiste in un prelievo di sangue del paziente, che viene poi centrifugato. Grazie a questo processo è possibile estrarre i fattori di crescita dell’individuo, responsabili della rigenerazione tissutale. In pratica, per il paziente, questo tipo di terapia si risolve in un prelievo ed una conseguente iniezione tendinea o peritendinea di un prodotto derivato dal proprio sangue.

Proprio in merito all’utilizzo delle cellule multipotenti, ho guidato uno studio, quando ero responsabile dell’unità Piede e Caviglia del team C.A.S.C.O. di IRCCS Galeazzi. Questo è stato pubblicato sulla rivista di riferimento della chirurgia ortopedica dello sport (KSSTA) ed è relativo all’applicazione in ambito ortopedico di questa innovativa scoperta frutto della ricerca biologica.

Per descrivere in modo comprensibile le principali differenze fra le due tecniche sono solito dire ai miei pazienti che il PRP introduce dei fattori che inducono la riparazione tissutale (i “mattoni” utili alla guarigione), mentre le cellule multipotenti aggiungono a questi fattori vere e proprie cellule in grado di rigenerare tessuti (è come avere oltre ai “mattoni” dei bravi “muratori” in grado di assemblarli, velocizzando la ricostruzione del tessuto).

Le cellule multipotenti del tessuto adiposo sono una tecnologia sicura e già disponibile. Stiamo accertandone l’eventuale maggiore efficacia rispetto al PRP.

Gli interventi chirurgici per il piede piatto

Quando parliamo di chirurgia per il piede piatto è importante distinguere fra il paziente adulto e quello pediatrico.

Il piede piatto nel bambino può essere corretto attraverso un intervento mini invasivo sfruttando le capacità di crescita del piccolo paziente. Fino ai 13-14 anni di età le cartilagini di accrescimento non fuse permettono di poter approfittare della crescita ossea per indurre una correzione nel piede. Si parla di endortesi senotarsica e di calcaneo-stop.

Sono due procedure chirurgiche, molto simili, che mirano alla correzione del piede basandosi su un meccanismo di “stop” nei confronti della volta plantare che quindi, non tende più a cedere.

Il dr. Usuelli in sala operatoria prima di un intervento al piede piatto.

L’intervento per la correzione nell’adulto è un’opzione nei casi in cui il trattamento conservativo non ha avuto l’effetto sperato o in cui si prevede una forte evolutività in deformità non riducibili, rigide.

Le tipologie di intervento per il piede piatto dell’adulto sono varie, a seconda della gravità della deformità e quindi della maggiore o minore flessibilità.

  • Nei primi gradi di piede piatto abbiamo ancora margine per eseguire interventi di osteotomia del calcagno e transfer tendinei. Si tratta di interventi che non sovvertono completamente l’anatomia del piede, ma che mirano a ripristinarla nel modo meno invasivo possibile.
  • Nei casi in cui questo non sia più possibile per la gravità della deformità sono necessari interventi di artrodesi, cioè fusione di una o più articolazioni, per ricreare la normale forma del piede e riportarlo in asse. Si tratta di interventi più importanti, ma con un alto tasso di soddisfazione da parte del paziente che può osservare, in maniera ancora più lampante rispetto ai precedenti interventi citati, il cambiamento nella forma dell’arto.
  • Nei casi in cui si parli di un piede piatto con coinvolgimento della caviglia (piede piatto di grado 4) si deve obbligatoriamente estendere l’indicazione anche a questa articolazione. Qui è d’obbligo un intervento di duplice artrodesi o preferibilmente di artrodesi associata ad una protesi alla caviglia. Si tratta tuttavia di pazienti eccezionali e di casi limitati  che spesso vengono convogliati in centri di eccellenza vista la loro particolarità.

Chiudiamo menzionando che di recente è stato proposto anche nell’adulto l’utilizzo di tecniche chirurgiche efficaci per la correzione del piede pediatrico (calcagno stop ed endortesi).

Sono argomenti a cui il mio gruppo si è dedicato. Abbiamo descritto in una review pubblicata su una rivista di riferimento internazionale quale dovrebbe essere il ruolo dedicato a queste tecniche nell’età adulta: molto limitato, in pazienti selezionati.

Il decorso post-operatorio

I moderni approcci anestesiologici discussi con il paziente durante la visita con il chirurgo e approfonditi con l’anestesista durante il pre-ricovero permettono di ridurre significativamente il dolore nella prima notte prolungando l’anestesia dell’arto a diverse ore dopo l’intervento.

L’attenzione al dolore del paziente è fondamentale per offrire un recupero più sereno e ridurre la farmaco-dipendenza del paziente.

Il paziente viene dimesso generalmente dopo una o due notti, quando la farmaco dipendenza per il dolore è nulla o molto ridotta.

Nell’immediato post-operatorio e nel periodo di immobilizzazione sono fondamentali:

  • lo scarico (non appoggiare il peso del corpo sull’arto operato) fino ad indicazione del chirurgo;
  • mantenere l’arto in posizione elevata per evitare che si gonfi.

I tempi per un pieno recupero variano a seconda del paziente.

Il ritorno all’attività sportiva

Il ritorno in campo dipende da vari fattori:

  • l’età del paziente;
  • la stadio di deformità di partenza;
  • la tipologia di intervento eseguito.

Generalmente, osteotomie e transfer tendinei richiedono tempi di immobilizzazione brevi (circa 30 giorni). Permettono una ripresa del carico sull’arto operato a circa 4 settimane dall’intervento, il ritorno alla guida dopo circa 50 giorni ed una completa soddisfazione del paziente, in relazione all’entità dell’intervento, con ripresa dell’attività sportiva dopo 3/5 mesi.

Paziente reduce da un intervento di piede piatto che cammina a piedi nudi.

I tempi per le procedure di artrodesi sono indubbiamente più lunghi, ma il periodo di scarico (impossibilità di appoggiare l’arto) raramente eccede i 50 giorni.

Per tutti i pazienti l’idrokinesiterapia (riabituarsi a camminare in un contesto protetto qual è quello garantito dall’acqua) è una tecnica riabilitativa che velocizza sensibilmente il recupero. 

Le attività di ricerca del mio gruppo sul piede piatto

Il piede piatto, sindrome pronatoria o disfunzione del tendine tibiale posteriore è una patologia a cui il mio gruppo si è dedicato con estremo interesse, per valutare il reale vantaggio delle tecniche più nuove.

Abbiamo studiato il loro impiego nello sportivo, al fine di testarle e renderle efficaci anche per coloro che abbiano una richiesta funzionale elevata.

In particolare, mi sono dedicato in primis a valutare l’utilizzo di tecniche note per il paziente pediatrico (endortesi e calcaneostop) nell’adulto, pubblicando sul reale spazio che dovrebbe essere dedicato a queste tecniche nell’adulto (The calcaneo stop procedure).

Queste tecniche, infatti presentano il vantaggio della mini-invasività e il fatto di agire all’apice delle deformità. Tale vantaggio è imprescindibile in un paziente con un piede in fase di crescita, ma purtroppo non è ugualmente efficace in un paziente adulto.

Il tasso di fallimento di questa soluzione riportato in letteratura è oltre al 30% ed è per questo motivo che abbiamo sviluppato una linea guida che limiti questa soluzione a casi selezionati.

D’altro canto il paziente adulto merita di essere curato con la stessa attenzione alla mini-invasività del bambino. Perciò abbiamo proposto e studiato una tecnica che preveda di associare una correzione scheletrica ad una trasposizione tendinea.

È una soluzione che il mio maestro, Mark Myerson, ha per primo descritto e di cui ha dimostrato l’efficacia. La nostra modifica consiste nella riduzione delle incisioni e dell'invasività, e nella velocizzazione dei tempi di recupero.

Abbiamo pubblicato i nostri risultati sugli sportivi sulla rivista di riferimento di chirurgia ortopedia applicata allo sport (Return to sport activities after medial displacement calcaneal osteotomy and flexor digitorum longus transfer). Si tratta di una categoria ad elevata richiesta funzionale, che dimostra l’efficacia e la ridotta invasività di questa soluzione terapeutica per qualsiasi paziente, in tempi molto più brevi che in passato.

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