Protesi di Caviglia
la protesi di caviglia è la soluzione per la cura dell’artrosi
La mia esperienza nella protesi alla caviglia
Attualmente, il mio team ed io ci occupiamo di oltre 200 interventi di protesi di caviglia all’anno.
Ogni caso viene inserito nel Registro Protesico (Humanitas Ankle Registry) che ci fornisce dati clinici, feedback soggettivi e informazioni di imaging, fondamentali sia per la ricerca sia per il nostro continuo miglioramento.
Il nostro gruppo è leader in Italia per il numero di protesi di caviglia effettuate e rappresenta un punto di riferimento nel trattamento dell’artrosi di caviglia.
Grazie alla nostra abilità nell’analizzare e interpretare i dati raccolti, siamo il gruppo italiano con il maggior numero di pubblicazioni scientifiche riguardanti le protesi di caviglia, l’artrosi di caviglia e la cartilagine. Abbiamo introdotto il concetto di fast-track e rapid recovery per la protesi di caviglia e partecipiamo a diversi progetti di ricerca e sviluppo a livello internazionale, inclusi quelli sulla robotica, sempre in relazione alle protesi di caviglia.
Nato nel 1979 e medico dal 2004, i successi che celebriamo oggi sono il frutto di un percorso iniziato poco dopo la mia specializzazione in Ortopedia e Traumatologia. Questo percorso ha preso forma nel 2008, durante la mia research-fellowship presso la Duke University (North Carolina, USA), dove ho iniziato a concentrarmi sulle protesi di caviglia. All’epoca, questo tipo di intervento chirurgico era ancora in una fase molto iniziale.
In quel periodo, si parlava principalmente di casi isolati; si registravano buoni risultati tra i chirurghi che avevano progettato gli impianti e risultati più variabili tra i rari casi di chirurghi indipendenti.
Le soluzioni disponibili allora non erano completamente adeguate per rispondere ai problemi dei pazienti affetti da artrosi di caviglia. C’era molta incertezza e preoccupazione riguardo alle protesi, mentre le procedure di artrodesi di caviglia erano viste con maggior favore, specialmente nei casi di pazienti giovani con elevate richieste funzionali.
Cos’è l’artrodesi? Si tratta di un intervento chirurgico che comporta la fusione della caviglia in una posizione ottimale per permettere un cammino efficiente, sfruttando il movimento delle articolazioni adiacenti.
Questa soluzione, che abbiamo a lungo esplorato in passato, presenta come punto debole la modifica del passo naturale e la conseguente degenerazione artrosica delle altre articolazioni vicine.
Artrosi di caviglia e qualità della vita
Se analizzassimo le caratteristiche del paziente affetto da artrosi di caviglia, rimarremmo stupiti di quale profondo impatto negativo abbia sulla qualità della vita di questi sfortunati pazienti.
Nell’immaginario collettivo la parola “artrosi” si associa, solitamente, a un’età avanzata, immaginiamo un paziente anziano, costretto a muoversi con un bastone o due stampelle per fare anche brevi tratti. Pensiamo a un uomo o a una donna per cui diventa doloroso anche eseguire i normali gesti quotidiani, come infilarsi un paio di pantaloni, allacciarsi le scarpe o salire e scendere da una macchina.
Sono pazienti che spesso si ritrovano costretti ad abusare di analgesici e antinfiammatori per vivere decorosamente la loro quotidianità. Col passare del tempo, a causa di quest’approccio, rischiano di sviluppare problemi anche seri in altri organi, coinvolti nel metabolismo dei farmaci, come, per esempio, fegato e stomaco.
Tutto questo è vero anche per il paziente affetto da artrosi di caviglia, con un’aggravante; si tratta generalmente di pazienti molto più giovani, nel pieno della propria vita sociale e produttiva. Per questi pazienti la quotidianità diventa una sfida e, spesso, il lavoro diventa impossibile. La depressione è una seria minaccia.
Nella nostra attività di ricerca abbiamo sentito come un dovere morale misurare e dimostrare la disabilità di questi pazienti, che, spesso, dopo un incidente si sono ritrovati con una artrosi post-traumatica, una ridotta capacità lavorativa e relazionale non adeguatamente indennizzata.
Abbiamo pubblicato i risultati di questa ricerca, misurando e quantificando questa disabilità, paragonandola ad altre gravi patologie (insufficienza cardiaca e renale, coxartrosi, per esempio):
- Post-Traumatica ankle osteoarthritis: quality of life, frequency and associated factors (Muscle, Ligaments and Tendon Journal, 2019)
Ci auguriamo che questo substrato scientifico possa essere d’aiuto per tanti pazienti in cerca di benessere, ma anche di un adeguato sostegno economico.
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Analisi delle Cause che portano all’Intervento di Protesi Caviglia
La caviglia, fulcro della nostra mobilità, può essere vulnerabile a una serie di patologie e traumi che compromettono significativamente la qualità della vita. Dall’artrosi post-traumatica, risultante da infortuni pregressi, fratture e lesioni legamentose, a malattie sistemiche e da deposito, le cause di deterioramento della caviglia sono diverse. Queste condizioni non solo limitano la mobilità ma inducono dolore e disabilità, spingendo verso la necessità di soluzioni chirurgiche definitive come l’artrodesi o, più spesso, l’installazione di una protesi di caviglia.
L’impiego di protesi mira a preservare o migliorare il movimento della caviglia, offrendo ai pazienti una strada per recuperare la funzionalità e migliorare significativamente la propria qualità di vita. La comprensione delle cause di cui parleremo più avanti è cruciale per approcciare con consapevolezza la decisione verso l’intervento di protesi, enfatizzando l’importanza di un trattamento precoce e mirato.
Artrosi di caviglia post-traumatica
La caviglia, non diventa artrosica invecchiando ma, il più delle volte, in seguito ad un trauma.
La maggior parte dei miei pazienti ha meno di 50 anni e una storia pregressa di trauma da frattura di 5 o 10 anni prima del mio incontro con loro, a volte l’intervallo tra la lesione e lo sviluppo di artrosi è anche più breve. Sono pazienti, come detto, nel pieno della propria vita, che, in anamnesi, hanno avuto infortuni, andando in moto, sciando, lavorando in cantiere o, ancora, traumi distorsivi ripetuti in qualità di ex-calciatori, pallavolisti o cestisti.
In alternativa, si tratta di pazienti ancor più sfortunati e affetti da malattie infiammatorie sistemiche, come l’artrite reumatoide o il lupus eritematosus sistemico, o malattie da deposito intra-articolare di emoglobina, come emofilia e emocromatosi.
Sono soggetti, che, a causa delle terapie croniche, cui devono essere sottoposti, hanno spesso una qualità del tessuto osseo non buona e gravi limitazioni funzionali.
Recentemente Mark Glazebrook (un collega canadese) sulla “bibbia dell’ortopedia”, la rivista scientifica “JBJS Am” [2017], ha quantificato la disabilità per i pazienti affetti da artrosi di caviglia ed è risultata superiore alla disabilità arrecata dall’artrosi di ginocchio e pari a quella dell’anca.
Non si tratta di una gara in negativo tra sfortune e patologie, ma di un modo per quantificare i gravi problemi cui sono soggetti i pazienti con artrosi di caviglia e per motivare clinicamente l’importanza di un trattamento precoce e prioritario.
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Frattura di caviglia e lesioni legamentose
La caviglia è un’articolazione estremamente congruente, le sue superfici combaciano come nel più preciso dei puzzle. È un sistema così perfetto che, se non viene compromesso, non invecchia mai.
La caviglia è un’articolazione con una stabilità intrinseca, non dipendente dai legamenti. Il ruolo dei legamenti subentra in dinamica ovvero durante il movimento.
I traumi distorsivi di caviglia ripetuti, possono indurre lesioni legamentose e cartilaginee. Un trattamento precoce dell’instabilità, che ricostruisca piano cartilagineo e legamenti lesionati, pertanto, previene l’avvento dell’artrosi.
Le fratture possono colpire tibia, perone, malleoli e astragalo. In questi casi, un “trattamento precoce in acuto”, ha l’obiettivo di ripristinare l’anatomia originaria. È il primo passo per prevenire l’artrosi che può subentrare anche in seguito ad una ricostruzione anatomica e soddisfacente.
Un ruolo spesso sottovalutato nelle fratture è occupato dal perone; non è raro imbattersi in pazienti perfettamente operati a livello della frattura tibiale, ma in cui non è stato possibile ripristinare la lunghezza originaria del perone. Sono pazienti in cui, oltre al dolore e alla disabilità, si osserverà lo sviluppo di una deformità in “valgismo” nel caso di perone troppo corto, o in “varismo” nel caso di perone troppo lungo.
Un altro aspetto da approfondire è rappresentato dalle deformità traslazionali. Si tratta di deformità in cui l’astragalo (l’osso del piede che forma la caviglia) diventa instabile e “scivola” in avanti con la tibia rispetto al suo centro di rotazione. Questo determina una notevole riduzione del movimento della caviglia. I pazienti affetti da questa patologia, zoppicano vistosamente, mantenendo l’arto atteggiato rigidamente in punta di piedi ed il ginocchio in “recurvatuum”.
In questi casi è importante correggere la deformità traslazionale, piuttosto che pensare a uno “sblocco anteriore” con un’artroscopia come, storicamente, si pensava. In effetti, i pazienti che visito per la prima volta, presentano notevoli peggioramenti se hanno subìto altrove un’artroscopia di caviglia.
L’artroscopia è un intervento in cui, tramite, due mini-incisioni (“buchini”) si ispeziona l’articolazione e si esegue una toilette articolare. È una procedura molto utile, nei casi di lesione cartilaginea, perché permette di evitare di “aprire” l’articolazione, riducendo così il rischio di rigidità post-chirurgica. Tuttavia, si rivela una procedura inutile e, talvolta, controproducente, nei casi di “impingement” (conflitto) e riduzione del movimento per formazioni di esostosi anteriore.
In questi casi, l’obiettivo del chirurgo, deve essere quello di ripristinare il corretto asse di rotazione dell’articolazione.
Questo è un concetto molto all’avanguardia ed è considerato un tema “caldo”, che il mio gruppo ha portato alla ribalta scientifica con il nostro studio, recentemente pubblicato sulla rivista di chirurgia del piede della “Società Europea di Chirurgia della Caviglia e del Piede” (EFAS).
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L’intervento di protesi di caviglia spiegato step by step
L’intervento di protesi di caviglia è un processo complesso che si sviluppa attraverso diversi step cruciali per assicurare il successo dell’operazione e il recupero del paziente:
- Visita Specialistica e Diagnostica: Inizia con un esame accurato, inclusi radiografia e TAC (meglio se TAC IN CARICO), per valutare la gravità della deformità e pianificare l’intervento.
- Pre-ricovero: Comprende esami di routine e un colloquio con l’anestesista per preparare il paziente all’operazione.
- Ricovero: Durata variabile, con una degenza ospedaliera che può estendersi da 2 a 4 notti a seconda del caso.
- Intervento Chirurgico: La procedura stessa, che varia in durata in base alla complessità delle deformità da correggere.
- Dimissioni e Recupero: Dopo l’intervento, vengono fornite istruzioni dettagliate per la cura post-operatoria, con un focus su gestione del dolore, medicazione della ferita, e la graduale rieducazione al movimento.
Questo percorso è pensato per offrire ai pazienti le migliori possibilità di un recupero completo, permettendo di ritornare alle attività quotidiane con rinnovata mobilità e minore dolore.
La storia della protesi di caviglia: Fix-Bearing e Mobile-Bearing
La protesi di caviglia è una soluzione affidabile per la cura dell’artrosi di caviglia. L’acquisizione degli ottimi risultati di oggi è storia recente; si è verificata infatti un’inarrestabile evoluzione dei disegni e della tribologia [studio dei materiali e della loro interazione] negli ultimi venticinque anni, frutto di un’attività scientifica frenetica, che ha visto opporsi due scuole di pensiero diverse: americana ed europea.
Gli americani hanno prodotto disegni protesici voluminosi e vincolati alle superfici astragaliche e tibiali. Si tratta di protesi costituite da due elementi, con un movimento vincolato tra le due [Fix-Bearing]. Tali disegni godevano del vantaggio di offrire una buona escursione di movimento della caviglia protesizzata, ma lo svantaggio di essere sottoposti a grandi stress meccanici a livello della loro interfaccia con l’osso. Sono protesi che ho avuto modo di conoscere nel mio periodo di lavoro negli Stati Uniti e di cui, sinceramente, ho potuto notare i grandi svantaggi a lungo termine, più che i vantaggi.
In Europa, invece, è nato un concetto protesico sicuramente più vincente: la protesi Mobile-Bearing. Al fine di ridurre gli enormi stress cui le protesi Fix-Bearing erano soggette, un chirurgo danese [H. Kofoed], per primo, propose un nuovo rivoluzionario disegno a tre componenti: un componente tibiale, uno astragalico e un cuscinetto mobile di polietilene, definito come un menisco, per dissipare lo stress delle due componenti principali. Questo concetto ha avuto enorme popolarità ed è stato modificato da vari autori. La versione probabilmente di maggior successo è la protesi “Hintegra”, di cui sono stato uno dei maggiori utilizzatori in Italia, è stata ideata da uno dei maestri del mio percorso formativo con cui ho avuto modo di lavorare in Svizzera, Beat Hintermann.
I vantaggi di questa protesi consistevano nelle dimensioni ridotte, pertanto, nel risparmio di osso del paziente e in un’osteo-integrazione che non richiedeva cementazione. Lo svantaggio principale era rappresentato da una discreta rigidità del sistema rispetto ai modelli fix-bearing.
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La protesi di caviglia oggi
La protesi di caviglia moderna è oggi considerata il trattamento di riferimento, ovvero il ‘best Standard‘, per l’artrosi sintomatica della caviglia.
Questa tecnica consente di preservare un cammino naturale, evitando la necessità di adattamenti che potrebbero portare a sovraccarichi nelle articolazioni adiacenti. È inoltre compatibile con attività sportive a basso impatto, ideale per i pazienti più giovani e attivi.
È ormai evidente quali siano gli elementi chiave per il successo di una protesi: la conservazione del ‘bone-stock‘, cioè dell’osso del paziente, e l’importanza di ottenere una caviglia correttamente allineata al termine dell’intervento, per assicurare stabilità e funzionalità. Di conseguenza, tutti i modelli di protesi di successo sono progettati per preservare il più possibile l’osso.
Questa necessità segna l’inizio e lo sviluppo della tecnica del ‘resurfacing‘.
Protesi di caviglia Resurfacing
Resurfacing è una parola inglese con cui si intende una protesi che abbia caratteristiche vicinissime alla caviglia naturale e che, per essere impiantata, riduca al minimo il sacrificio osseo.
Insomma, il “resurfacing” è un sistema che permette di ricreare la “forma” della caviglia originaria, dai tagli preparatori all’inserimento della protesi. È una caratteristica importantissima perché lascia aperta una seconda possibilità. Quanto più osso il chirurgo è in grado di risparmiare, quanto più il paziente avrà la possibilità nel futuro, quando la protesi sarà usurata, di revisionarla.
Ricordiamo che, nel caso della caviglia, i pazienti artrosici sono più giovani e attivi rispetto ai pazienti colpiti a livello di anca e ginocchio. La possibilità di poter prevedere una revisione è indubbiamente indice di sicurezza.
Il design è la chiave per il successo di un impianto, ma ha bisogno di essere accompagnato da una scelta di materiali, che ne amplifichino i vantaggi.
Le protesi moderne prestano una grande attenzione al processo di osteo-integrazione. Si è cominciato storicamente con protesi rivestite di “idrossiapatite” per favorire il metabolismo osseo e si è arrivati a quella che oggi è definita come la risposta più affidabile in termini di “integrazione”, ossia l’impiego del trabecular metal, un metallo che deriva dalla lavorazione del Tantalio e che ha caratteristiche vicinissime all’osso.
In pratica, le cellule dell’osso [gli osteoblasti], lo “leggono” e lo riconoscono come se fosse osso stesso. Lo “abitano” e ne perfezionano l’osteo-integrazione, senza l’assoluta necessità di ricorrere a procedure di cementazione.
Con orgoglio possiamo affermare di essere stati i precursori di questa tecnica nel Mondo e in Europa. Oggi siamo il gruppo nel mondo ad aver eseguito il maggior numero di interventi di resurfacing (oltre 1000), abbiamo il maggior numero di pubblicazioni sul tema e siamo centro di studio e di formazione mondiale di questa particolare soluzione protesica.
Protesi di caviglia e learning curve: il valore dei numeri
La protesi di caviglia è il trattamento da scegliere nell’artrosi di caviglia. Un intervento gravato, come tanti altri in ortopedia, da una “learning curve” importante del chirurgo.
Ai fini del risultato finale e della sopravvivenza a lungo termine, è importante che venga eseguito da un chirurgo ad elevati volumi, in un centro di riferimento.
Infatti, come ogni intervento, prevede una “learning curve” importante del chirurgo.
Anche il medico, come ogni altro professionista, ha bisogno di imparare procedura dopo procedura. Questo è un aspetto cruciale per un’articolazione come la caviglia dove i numeri generali sono ridotti.
Un aspetto che il mio gruppo, come promotore della chirurgica protesica della caviglia, ha sempre avuto a cuore.
Abbiamo raccolto dati clinici di imaging e siamo riusciti a stimare la learning-curve, individuando un cut-off, ossia dei valori, oltre i quali il chiruirgo ed il suo team sono più affidabili (30 casi minimo ogni anno). I risultati di questi studi sono confluiti in due diversi studi scientifici, pubblicati sulla Rivista Scientifica della Società di Chirurgia della Caviglia e del Piede Europea:
- Identifying the learning curve for total ankle replacement using a mobile bearing prosthesis, Usuelli et al, 2017;
- Learning curve assessment fro total ankle replacement using the transfibular approach, Maccario, Usuelli et al, 2021.
Abbiamo misurato e stimato in circa trenta casi la “learning curve” del chirurgo in chirurgia protesica della caviglia. Questo nostro studio ribadisce il ruolo dei centri di riferimento per garantire un’elevata qualità di cura a pazienti affetti da una patologia relativamente poco frequente, come l’artrosi di caviglia.
Questi numeri non devono essere interpretati come limiti ferrei, ma come uno stimolo per chi, come noi, è coinvolto non solo nella cura dei pazienti, ma anche nel “training” di altri colleghi in Europa e nel mondo.
Oggi, con oltre 200 casi di protesi “Hintegra” (protesi Mobile-Bearing) e oltre 1000 casi di protesi TM-Ankle Zimmer-Biomet (protesi Fix-Bearing o Resurfacing ad accesso laterale) rappresenta una realtà unica nella cura dell’artrosi di caviglia.
L’evoluzione delle nostre scelte e dei nostri numeri ci ha portato a descrivere e sviluppare una nostra originale tecnica chirurgica, che abbiamo pubblicato sulla rivista scientifica internazionale “Sicot-Journal”. Oggi questa tecnica rappresenta un riferimento in termini di protesi di caviglia con approccio laterale.
La nostra ricerca, la nostra attività è in continua evoluzione ed oggi questa tecnica, ulteriormente migliorata rappresneta il gold standard per il resurfacing ed è pubblicata sulla maggiore rivista ortopedica mondiale JBJS Am: A modification of the Fibular Osteotomy for Total Ankle Replacement Through the Lateral Transfibular Approach (Usuelli et al, 2019).
Un ulteriore e successivo sviluppo di cui il mio gruppo è entusiasta è stato quello di sviluppare una tecnica di ricostruzione del perone per i pazienti che si trovassero senza perone o con un perone deficitario per via di un grave trauma o di una pregressa artrodesi. Una soluzione innovativa che ha aperto la soluzione della protesi di caviglia anche per questi pazienti a cui prima, era preclusa. E’ una tecnica che porta il nome di Milano, la città in cui viviamo e lavoriamo: Reconstruction of a missing or insufficient distal fibula in the setting of a tota ankle replacement: The Milanese technique (Usuelli et al, Foot Ankle Surg, 2021)
La nostra sala operatoria
Questi numeri hanno permesso un’attenta evoluzione della nostra tecnica.
Ho il privilegio di aver cresciuto un gruppo di professionisti che oggi sono un’eccellenza.
La nostra casa, Humanitas S.Pio X a Milano, ha dimostrato fiducia nel nostro progetto. Nel 2019 ha istituito l’Unità Operativa di Chirurgia della Caviglia e del Piede, che oggi si posiziona come leader in Italia per il numero di interventi di Chirurgia Protesica.
In questa unità, disponiamo di un reparto dedicato, attrezzato per seguire i pazienti con un protocollo fast-track. Gli investimenti in tecnologie come Game-Ready, il migliore sistema di raffreddamento post-operatorio, e la magnetoterapia (lymphatherapy), insieme a un personale specializzato, sono essenziali per il nostro successo.
La nostra sala operatoria non si limita a bisturi e chirurghi; è un esempio di organizzazione e tecnologia avanzata, dove ogni procedura è riproducibile, fluida e coordinata. Siamo dotati di due sale operatorie per minimizzare i tempi morti, un team di anestesisti dedicato guidato dal Dr. Cama e un team di infermieri coordinato dalla Drssa D’Adda, tutti formati specificamente sulla caviglia e guidati da Domenico Santoro, pilastro e organizzatore della nostra sala operatoria. Questa organizzazione impressiona i chirurghi che ci visitano da tutta Europa. È grazie a questo team che possiamo curare così tanti pazienti e ottenere risultati eccellenti.
Quando, cinquanta giorni dopo l’intervento, un paziente mi viene a ringraziare nel mio studio, camminando sulle proprie gambe e nelle sue scarpe, questo risultato non è solo mio, ma di tutto il team.
Il mio team, composto dal Dr. Indino, dalla Dr.ssa Maccario, dal Dr. Granata e dalla Dr.ssa De Marco, ha maturato la sua esperienza al mio fianco. Oggi sono molto più che chirurghi formati. Vedendoli all’opera, so che saranno sempre nel posto giusto al momento giusto. Questo mi dà una grande sensazione di tranquillità e serenità, anche nelle sfide più ardue.
Tuttavia, la chirurgia richiede una pianificazione e organizzazione meticolose. Noi chirurghi siamo fondamentali, ma da soli non siamo sufficienti. La collaborazione di team, organizzazione ed investimenti è imprescindibile per il nostro lavoro.
Intervento protesi di caviglia: il percorso post-operatorio
Il nostro paziente dopo un intervento che oggi dura mediamente, meno di settanta minuti, viene trasferito dalla sala operatoria alla recovery room, dove due infermieri e un anestesista si preoccupano di un’immediata gestione del post-operatorio. Ha da subito uno stivaletto di vetro-resina [che termina sotto il ginocchio], che viene eseguito in sala operatoria e che lo accompagnerà per tre settimane. L’arto operato rimarrà anestetizzato per un periodo prolungato, spesso tutta la notte. Le perdite ematiche sono ridotte al minimo e dunque, le trasfusioni di sangue, non sono necessarie di routine.
Il giorno successivo, la caviglia sarà medicata attraverso una finestra aperta lateralmente nel gesso il giorno stesso dell’intervento.
La maggioranza dei pazienti operati di protesi di caviglia dopo due giorni ha un buon controllo del dolore e può essere dimesso.
Il primo controllo è programmato a tre settimane per la “desutura” e la rimozione del gesso.
Il paziente in questo controllo riceverà istruzioni su come appoggiare, camminare dopo l’intervento di protesi alla caviglia e sugli esercizi di fare. Da qui in avanti caricherà e camminerà libero a pieno carico sulla caviglia.
Passate cinque settimane dalla data dell’intervento, al paziente è concesso con gradualità di tornare alle normali abitudini, tra cui la guida.
Da questo momento, si comincerà la fisioterapia dedicata al recupero delle funzioni avanzate, eventualmente facilitato dall’idrokinesiterapia (camminare in acqua), potenziamento e stretching del tricipite.
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Il valore dell’insegnamento
Oggi quasi ogni giorno, quando operiamo, riceviamo visitatori sia dall’Italia che da ogni parte d’Europa. Abbiamo ospitato chirurghi da Francia, Inghilterra, Irlanda, Belgio e Olanda, Germania, Spagna, Polonia, Russia e Cina. Sono colleghi interessati al nostro modo di curare l’artrosi di caviglia.
Proprio perché crediamo fermamente nel nostro lavoro, ho ritenuto doveroso accompagnare questi chirurghi, nel loro percorso di avvicinamento alla protesi, aiutandoli e consigliandoli anche nelle loro attività.
Questo mi porta spesso nelle sale operatorie di tutta Europa per guidare, come tutor, questi colleghi durante i loro primi interventi. Ho contribuito alla prima protesi di caviglia con accesso laterale in Spagna, alla prima in Belgio e alla prima revisione con approccio laterale in Polonia.
Con orgoglio posso dire che la prima protesi di resurfacing in Sud America è stata eseguita in Cile dal Dr Camilo Piga, che, nel 2020, ha passato un periodo di formazioni in Italia presso il mio Centro di 6 mesi (fellowship).
I suoi successi sono i nostri successi.
Per numeri e attività scientifica in Europa, stiamo sovvertendo il paradigma che i giovani chirurghi italiani per apprendere la chirurgia della caviglia debbano recarsi all’estero. Per questo abbiamo sviluppato percorsi di fellowship e super-specializzazione aperti a colleghi italiani, europei e asiatici, che stanno riscuotendo grande interesse.
La fellowship è un percorso di formazione post-specialità in cui offriamo al professionista formazione ed un sostegno economico. Questo offre a giovani chirurghi entusiasti la possibilità di essere esposti a questa chirurgia, che, in molte parti del mondo, è ancora pioneristica. Regala a me, come professionista, la possibilità di essere circondato da entusiasmo, curiosità e una spinta in più nella ricerca.
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Ricerca scientifica e protesi di caviglia: i nostri risultati
Quando abbiamo abbracciato il concetto dell’approccio laterale, dell’osteotomia del perone e di questa nuova protesi “resurfacing”, ci è davvero sembrata una rivoluzione.
Il motivo iniziale era quello di poter finalmente avere una visione diretta sul centro di rotazione della caviglia, che con un approccio anteriore rimaneva nascosto e inaccessibile.
Oggi è la tecnica più diffusa in Italia e i motivi sono molteplici. La maggior parte delle acquisizioni in quest’ambito sono legate al nostro team scientifico.
Il mio Team dedica ogni giorno anima e corpo alla continua acquisizione di dati, in ambito protesico e di ricostruzione cartilaginea.
La loro attività e i nostri rapporti di collaborazione internazionale ci hanno permesso di raggiungere risultati inaspettati in tempi davvero veloci, proprio come dovrebbe essere l’evoluzione scientifica in quest’ambito: efficiente e reattiva.
Abbiamo inizialmente comunicato i risultati dei nostri studi nei meeting nazionali e internazionali: SIOT (Società Italiana), AOFAS (Società Americana) ed EFAS (Società Europea).
In seguito li abbiamo pubblicati su riviste scientifiche leader nel nostro ambito: Foot and Ankle International (organo scientifico dell’AOFAS), Foot and Ankle Surgery (organo scientifico dell’EFAS). Successivamente, il nostro lavorato ha trovato interesse e favore delle maggiori riviste europee e americane di Ortopedia (JBJS Am, Arthroscopy, American Journal Sport Medicina, KSSTA Journal).
Siamo convinti che l’approccio laterale permetta al chirurgo di vedere e agire su una delle cause o dei cambiamenti negativi più importanti, che si verificano nelle caviglie artrosiche: la retrazione dei tessuti molli posteriori.
Questo, nelle nostre mani, permette una correzione delle deformità post-traumatiche più efficace e stabile nel tempo, rispetto ad altre tecniche.
Uno dei nostri studi più rilevanti è quello in cui abbiamo confrontato caviglie sane, caviglie sottoposte a protesi mobile-bearing [terza generazione con approccio anteriore] e caviglie con protesi con accesso laterale.
In base a rigorose analisi radiografiche, abbiamo dimostrato come i tagli curvi e l’approccio laterale siano i più efficaci nel ripristinare una caviglia, che sia il più possibile simile a quella sana, con notevoli risultati in termini di movimento, naturalezza del passo e “propriocettività” (sensazione del paziente di “avere di nuovo indietro la propria caviglia”).
Un altro studio che ha aperto la strada al trattamento delle deformità artrosiche, è stato quello in cui abbiamo verificato l’efficienza e l’affidabilità dell’intervento di protesi di caviglia associato a procedure chirurgiche accessorie di ricostruzione delle deformità, come l’artrodesi di sottoastragalica.
Questa esperienza ha aperto la strada all’utilizzo di protesi anche nei casi di artrosi più complessi, che richiedono interventi su più segmenti scheletrici per ottenere l’obiettivo finale: una caviglia che muove su una gamba e un piede allineati e stabili.
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Il futuro è il presente: TAC in carico (Weight-Bearing Ct-scan), robotica, realtà aumentata e protesi di caviglia
La chirurgia non è un atto eroico e romantico, ma è un privilegio per il chirurgo, che gli permette di aiutare e avvicinarsi agli altri. Non si tratta di improvvisazione. È, piuttosto, il risultato dell’organizzazione di un team e richiede una pianificazione accurata. Questi strumenti, come la chirurgia stessa, necessitano di essere compresi, utilizzati e sviluppati. Richiedono una learning-curve da parte del team che li impiega. Soprattutto, richiedono risorse dedicate a questa nuova tecnologia: l’organizzazione di un team specializzato nel trattamento del piede e della caviglia.
Oggi, disponiamo di strumenti che, abbinati alla realtà aumentata e alla chirurgia robotica, offrono e continueranno a offrire maggiore affidabilità al chirurgo in sala operatoria. Sto parlando di Disior (applicazione Bone-Logic), che consente di pianificare e visualizzare in anticipo l’impatto delle correzioni sul complesso piede-caviglia. In altre parole, permette di vedere in anticipo ciò che verrà eseguito in sala operatoria.
Questo approccio rivoluzionario è reso possibile dalla tecnologia innovativa della TAC in carico con modalità cone-beam. Questa tecnologia permette di effettuare un esame TAC in carico, ovvero mentre si sta in piedi, con una dose di radiazioni paragonabile a quella di una radiografia, dunque inferiore a quella di una TAC tradizionale. Ciò rappresenta una svolta copernicana, aggiungendo la tridimensionalità all’analisi pre-operatoria di piede e caviglia.
La rilevanza di queste innovazioni si riflette nel trattamento dell’artrosi di caviglia, che nella maggior parte dei casi è post-traumatica e spesso associata a deformità di natura post-traumatica. Queste deformità devono essere corrette durante l’intervento di protesi di caviglia per assicurare un funzionamento fisiologico della protesi. Se l’obiettivo è ottenere un allineamento e una caviglia mobile, un planning moderno e attuale è indispensabile. Le radiografie in carico sono state il primo strumento per comprendere le deformità e per pianificare il riallineamento. Abbiamo sempre integrato questo approccio con una TAC per esaminare la tridimensionalità e la qualità dell’osso. Tuttavia, la TAC tradizionale non offriva il vantaggio di essere eseguita in carico, una limitazione ora superata con le nuove tecnologie.
FAQ (domande frequenti)
Artrosi di caviglia: la soluzione è solo la protesi?
Rispondo con una frase di un mio maestro (prof. Beat Hinterman): “I am happy for the successfull ankle replacements that I implanted in order to avoid fusion, but I am proud of the successfull Joint-preserving surgeries that I did to avoid ankle replacement”
Significa che l’obiettivo di un team dedicato alla cura dell’artrosi di caviglia deve essere, in primis, di preservare, riallineando una deformità e rigenerando cartilagine. Quando non è possibile preservare l’articolazione, è fondamentale preservare la funzione impiantando una protesi di caviglia.
Che differenza c’è tra un protesi ed un artrodesi di caviglia?
Una artrodesi è una procedura di fusione di un articolazione. Nel caso della caviglia, si programma quando non è possibile preservare una articolazione o quando non è possibile pianificare una protesi. Implica il sacrificio del movimento.
In passato, era considerata la soluzione definitiva per la cura dell’artrosi di caviglia. Oggi, nei centri di riferimento, dove team di chirurghi dedicati eseguono un numero elevato di interventi (almeno 30 ogni anno), la chirurgia protesica è il gold standard.
La protesi permette di preservare il movimento della caviglia. E’ fondamentale che venga eseguita in un centro di riferimento per ridurre il rischio di complicanze: infezione ( < 2%) e perdita di correzione ( <2%).
Pertanto, il trend moderno della cura dell’artrosi di caviglia è di centralizzare la cura di questa patologia in Centri di Riferimento che eseguano un numero elevato di interventi, raccolgano i dati in un Registro Protesi, abbiano a disposizione il meglio della tecnologia disponibile e offrano al paziente il miglior trattamento possibile.
L’artrodesi di caviglia non si consuma, la protesi sì?
Un’artrodesi di caviglia determina il sacrifico dell’articolazione. Questo implica uno stress maggiore sulle articolazioni vicine: ginocchio e articolazioni del piede. Pertanto, un paziente con un’artrodesi di caviglia non è esposto al consumo della caviglia (non c’è più!), ma è esposto ad un maggior consumo delle altre articolazioni e ad una chirurgia di salvataggio su queste.
Una protesi innegabilmente espone il paziente al rischio di revisione, ma l’evoluzione dei materiali di oggi e la comprensione della patologia hanno portato a tassi di permanenza dell’impianto a medio-lungo termine molto vicine a quelli del ginocchio, per chirurghi al termine della loro learning-curve ed in centri di riferimento.
Di cosa è fatta una protesi?
La maggior parte delle protesi associa metallo a polietilene.
Il metallo può essere cromo-cobalto rivestito o meno di idrossiapatite (per favore osteointegrazione), titanio, titanio porotico.
La protesi che utilizzo più frequentemente (resurfacing –TM ankle) è l’unica protesi di caviglia ad avere metal-back (il lato della protesi che si interfaccia con l’osso) di Trabecular-metal ( lega che deriva dalla lavorazione del Tantalio) e polietilene cross-linked (polietilene ad alta densità e resistenza all’usura).
In cosa consiste il protocollo fast-track per la riabilitazione da una protesi di caviglia?
E’ un protocollo che prevede un carico immediato: si prevede appoggio in carico e rieducazione al passo (camminare) dal primo giorno post-operatorio.
Il paziente viene sottoposto a Game-Ready (la migliore tecnologia per esposizione a freddo continuata) e Magnetoterapia (Lympha-therapy) durante il ricovero e gli viene insegnato a camminare.
Il paziente viene dimesso senza gesso e con il consiglio di appoggiare a pieno carico e camminare da subito come insegnato in ospedale.
E’ un protocollo che il mio team ha sviluppato per ottimizzare il recupero di paziente ad elevata richiesta funzionale.
I mezzi di sintesi (placche e viti) devono essere rimossi prima dell’intervento di protesi o è possibile farlo nello stesso intervento di protesi?
Tecnicamente è possibile eseguire la rimozione dei mezzi di sintesi contestualmente alla chirurgia protesica.
Tuttavia, i dati acquisiti dal nostri Registro Protesico e i nostri studi scientifici pubblicati sulle maggiori riviste scientifiche hanno delineato una linea guida precisa: è preferibile eseguire una rimozione dei mezzi di sintesi in un intervento preliminare nel caso sia presenta una placca.
Questo riduce sigificativamente il rischio di infezione e permette risultati migliori per l’intervento di protesi.
Rimuovere prima incrementa la sicurezza dell’intervento.
Ultimo aggiornamento: venerdì 12 febbraio 2024 – 12/02/2024