Non appena la guarigione è avvenuta, esci e guarisci qualcun altro.
– Maya Angelou –

Introduzione

La deformità del piede può richiedere l’intervento di un medico quando provoca dolore e limitazioni funzionali al paziente, influenzandone la qualità della vita.

Il piede è un organo complesso a cui ciclicamente chiediamo, attraverso il passo, di ammortizzare – comportandosi come una molla – e spingere, diventando una leva rigida.

La deformità può interessare l’avampiede, il mesopiede, il retropiede o, in maniera correlata, ciascuno di questi distretti anatomici. L’importante è individuare quale fase del passo è eventualmente compromessa.

Il piede è come una marionetta, il cui movimento è guidato da fili che scendono dall’alto, i tendini, che traducono la contrazione del muscolo in movimento trasmettendo la forza contrattile del ventre muscolare all’osso su cui si inseriscono.

Quando il sistema che trasmette il movimento alla marionetta non è perfettamente funzionante, anche una o più parti di essa potrebbero non rispondere adeguatamente.

Per esempio, un filo usurato o un braccio del “bilancino” rotto (la croce in legno che trasmette il movimento ai fili) potrebbero far sì che un movimento del burattino non si compia correttamente, quando viene dato l’impulso al filo.

Uno squilibrio tra tendini è causa o conseguenza della deformità; infatti, un tendine che lavora con un allungamento eccessivo o fuori asse perde efficienza e può degenerarsi completamente.

Esistono 2 principali deformità: il piede piatto e il piede cavo.
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Il piede piatto

Piede Piatto
Piede Piatto

Piede piatto o PTT disease: sono diversi modi per definire patologie molto simili.

Semplificando, il piede piatto è un’alterazione dell’arco longitudinale e trasversale del piede che determina un’impronta plantare aumentata sul terreno.

È una deformità complessa che coinvolge più articolazioni e può arrivare a determinare patologie dell’avampiede (quali alluce valgo e dita a griffe), ma può anche provocare grave sintomatologia e alterazioni a livello della caviglia.

Non sempre un piede piatto è sinonimo di patologia. In alcuni casi, infatti, può rappresentare un vantaggio funzionale come per i nuotatori o i militari, costretti a lunghe marce con scarponi decisamente poco confortevoli.

Infatti, nel nuotatore aiuta a rendere il motore del suo corpo più efficiente, comportandosi in maniera simile ad una pinna. Per i militari, invece, si è dimostrato che i soldati con il piede piatto (ad esempio i fanti, soggetti a lunghe marce) sono meno soggetti a fratture da stress. In questo caso il piede piatto è un fattore protettivo biomeccanico: garantisce una più efficiente distribuzione dei carichi.

Un piede piatto diventa sintomatico quando i meccanismi di compenso vengono a mancare, causando al paziente dolore e instabilità.

Il primo segnale d’allarme può essere il dolore all’interno della caviglia (in prossimità del malleolo tibiale) se è la sofferenza del tendine a provocarlo; il male, invece, si avverte sulla superficie postero-laterale del retropiede, quando è il valgismo del calcagno a dare problemi.

Quindi, dolori opposti, per la stessa patologia: per questo è fondamentale una visita medica specialistica e non un approccio casuale al problema.
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Diagnosi di piede piatto

Piede Piatto

Ricostruzione combinata di una deformità in pronazione (piede piatto): riallineamento simultaneo dell’alluce e del retropiede (osteotomia di medializzazione di calcagno)

Piede Piatto

Ricostruzione combinata di una deformità in pronazione (piede piatto): riallineamento simultaneo dell’alluce e del retropiede (osteotomia di medializzazione di calcagno)

È durante una visita specialistica che, osservando la camminata del paziente a piedi nudi, si definisce una prima diagnosi. Spesso bastano pochi passi per capire!

Per un’opportuna diagnosi sono fondamentali:

  • la storia del paziente;
  • il suo lavoro;
  • lo sport praticato;
  • l’osservazione dell’usura delle sue scarpe.

Tutto questo fa parte dell’anamnesi. Per prendere delle decisioni specifiche ci si baserà poi su radiografie eseguite in carico, cioè stando in piedi.

Infatti, è in posizione eretta che il piede lavora e fa male ed è in posizione eretta che va studiato. Questo è il motivo per cui una radiografia in carico offre spesso più informazioni di una risonanza magnetica (esame che si esegue sdraiati).

Tuttavia, in alcuni planning chirurgici, possono risultare necessarie particolari proiezioni, ossia modalità di esecuzione di RX.

Nel mio personale planning chirurgico ritengo importante richiedere una proiezione radiografica, ideata dal collega Charles L. Saltzman, che si esegue in carico, da posteriore con inclinazione del raggio a 20 gradi.

Si tratta di una semplice radiografia effettuata in una posizione che consente di studiare meglio la correlazione tra la posizione del calcagno, dell’astragalo e della tibia. Questo mi aiuta a descrivere e studiare l’apice della deformità.

Per studiare patologie legamentose e tendinee concomitanti, come quelle che coinvolgono il tibiale posteriore, lo spring ligament o il legamento deltoideo, possono essere richieste risonanza ed ecografia.

Uno studio TAC è invece fondamentale nei casi di deformità più avanzata per studiare il bone stock (l’osso su cui lavorare, disponibile al chirurgo) e la degenerazione delle articolazioni.
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Terapia conservativa piede piatto

Il piede piatto non sintomatico non si cura, a meno che manifesti caratteristiche evolutive particolari.

Questo principio vale anche per terapie conservative, come plantari o altre ortesi.

È, infatti, opinione diffusa che un plantare possa correggere una deformità o prevenirla. Non è vero!

L’unica eccezione vale per gli atleti professionisti o sportivi ad alta richiesta funzionale. In questo caso, uno studio del passo associato alla comprensione da parte del medico del gesto tecnico sportivo e delle metodologie di allenamento, può indurre prescrizioni di terapie ed ortesi che aiutino il soggetto a spingersi un po’ oltre i propri limiti, rendendo più efficiente il suo “sistema piede e caviglia”.

Un ulteriore distinguo meritano i maratoneti ed i runners più in generale, dove l’evoluzione delle calzature rende necessaria una consultazione con uno specialista, che non può risolversi nell’opinione del tecnico del negozio di articoli sportivi, per quanto preparato possa essere.

Una guida autorevole nella scelta tra scarpe da pronatore, neutre o da supinatore o tra scarpe Five Fingers (da Barefoot running) e calzature minimaliste, aiuta notevolmente la prevenzione.

Nel paziente comune che lamenta sintomatologia, il plantare può rappresentare un valido strumento di compenso. Certo non può garantire la correzione, ma quando indossato favorisce i tendini sofferenti, facendoli lavorare su bracci di leva più vantaggiosi.

Anche nel caso del paziente, come per lo sportivo, esistono calzature con modifiche particolari (quali le famose MBT o, per pazienti con deformità più gravi, le “scarpe ortopediche”) che possono, in casi selezionati, rappresentare un valido aiuto.

Un ulteriore strumento, in caso di deficit legamentoso, sono i tutori che, tuttavia, sono spesso una soluzione solo temporanea, da utilizzare in attesa che il paziente guarisca dall’instabilità con un’opportuna riabilitazione o dopo un’eventuale scelta chirurgica.

Ovviamente, quand’anche ci si trovi di fronte ad una patologia da non operare sarà importante utilizzare sia i plantari quanto le terapie (Cheltherapy, Laser E2C, TecarTerapia, InterX): i due trattamenti devono coesistere per dare il massimo dei risultati sia in termini di efficacia che di ottimizzazione dei tempi di guarigione.

Nell’ultimo miglio, quello che precede la scelta chirurgica, le infiltrazioni con PRP (fattori della crescita) e le cellule multipotenti del tessuto adiposo (grasso) possono ancora dare qualche risultato.

Si potrà procedere con tali infiltrazioni solo in assenza di danni neurologici e quando il piede è compensato da un punto di vista biomeccanico.

La tecnica consiste in un prelievo di sangue del paziente, che viene poi centrifugato. Grazie a questo processo è possibile estrarre i fattori di crescita dell’individuo, responsabili della rigenerazione tissutale. In pratica, per il paziente, questo tipo di terapia si risolve in un prelievo di sangue ed una conseguente iniezione tendinea o peritendinea di un prodotto derivato dal proprio sangue.
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Medicina rigenerativa e piede piatto

Proprio in merito all’utilizzo delle cellule multipotenti, ho guidato uno studio, quando ero responsabile dell’unità Piede e Caviglia del team C.A.S.C.O. di IRCCS Galeazzi e pubblicato sulla rivista di riferimento della chirurgia ortopedica dello sport (KSSTA), relativo all’applicazione in ambito ortopedico di questa innovativa scoperta frutto della ricerca biologica.

Per descrivere in modo comprensibile le principali differenze fra le due tecniche sono solito dire ai miei pazienti che il PRP introduce dei fattori che inducono la riparazione tissutale (i “mattoni” utili alla guarigione), mentre le cellule multipotenti aggiungono a questi fattori vere e proprie cellule in grado di rigenerare tessuti (è come avere non solo i “mattoni” ma anche bravi “muratori” in grado di assemblarli, velocizzando la ricostruzione del tessuto).

Le cellule multipotenti del tessuto adiposo sono una tecnologia sicura e già disponibile. Stiamo accertandone l’eventuale maggiore efficacia rispetto al PRP.

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Intervento chirurgico piede piatto

dr. Federico Usuelli
dr. Federico Usuelli

Piede piatto patologico o sindrome pronatoria. Esistono tantissime modi di classificare il piede piatto, ma una classificazione è utile quando, non solo ci permette di comprendere quanto è grave una deformità, ma anche quando ci darà informazioni sulla sua evoluzione e sulle modalità di trattamento.

Per questo, nella mia pratica clinica e nella mia attività scientifica mi rifaccio sempre alla classificazione del mio maestro, Mark Myerson, e Bluman.

In base a questo modo di classificare il piede piatto (sindrome pronatoria), esistono 5 stadi diversi, ciascuno con trattamenti ideali diversi.

Il principio fondamentale è, però, di distinguere deformità flessibile e deformità rigide.

Le flessibili sono quelle deformità in cui non è ancora subentrata artrosi ed in cui è possibile pianificare una correzione.

L’aspetto positivo di questo trattamento è che è possibile preservare il movimento e, pertanto, la funzione di ogni articolazione del piede.

Ecco perché è fondamentale la diagnosi precoce: per fare prevenzione ed evitare che insorga artrosi.

Recentemente è stato proposto anche nell’adulto, l’utilizzo di tecniche chirurgiche efficaci per la correzione del piede pediatrico (calcaneo-stop e endortesi nell’adulto).

Sono argomenti a cui il mio gruppo si è dedicato, descrivendo in una review pubblicata su una rivista di riferimento internazionale, quale dovrebbe essere il ruolo dedicato a queste tecniche nell’adulto: molto limitato, in pazienti selezionati.

Nella maggior parte dei casi in cui esista una deformità, ma le articolazioni non siano ancora state rovinate da tanto lavoro fuori asse, è possibile preservare la funzione del piede, ma è necessario raggiungere questo obiettivo mediante osteotomie (riallineamenti del piano osseo) e transfer tendinei, spesso combinati.

Tornando all’analogia della marionetta, significa raddrizzare il burattino (il piede) e spostare le corde efficienti (tendini sani) in posizione tale da poter coadiuvare quelle inefficienti (tendini malati).

Questo tipo di intervento permette, al termine del periodo di recupero, una ripresa funzionale del piede senza dover sacrificare alcun movimento.

Tuttavia, quando le articolazioni sono danneggiate dalla deformità non è più possibile riallinearle semplicemente. In questi casi esistono delle tecniche di artrodesi (fusione di alcune articolazioni del retropiede) che permettono di ottenere come risultato un piede stabile, corretto, che può camminare senza dolore, ma con il sacrificio di un parte del movimento.

In passato in questi ultimi programmi chirurgici di artrodesi veniva molto spesso inclusa la caviglia, il cui movimento oggi giorno, quando possibile, viene preservato con procedure di impianto di protesi associate alle artrodesi del retropiede. A tal proposito vi suggerisco di visitare la sezione del sito “artrosi di caviglia”.

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Il decorso post-operatorio

Piede Piatto
Piede Piatto

I moderni approcci anestesiologici discussi con il paziente durante la visita con il chirurgo e approfonditi con l’anestesista durante il pre-ricovero permettono di ridurre significativamente il dolore nella prima notte prolungando l’anestesia dell’arto a diverse ore dopo l’intervento.

L’attenzione al dolore del paziente è fondamentale per offrire un recupero più sereno e ridurre la farmaco-dipendenza del paziente.

Il paziente viene dimesso generalmente dopo una o due notti, quando la farmaco dipendenza per il dolore è nulla o molto ridotta.

Nell’immediato post-operatorio e nel periodo di immobilizzazione sono fondamentali lo scarico (non appoggiare il peso del corpo sull’arto operato) fino ad indicazione del chirurgo e mantenere l’arto in posizione elevate per evitare che si gonfi.
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Il ritorno all’attività sportiva

Il ritorno in campo dipende da vari fattori:

  • l’età del paziente;
  • la stadio di deformità di partenza;
  • la tipologia di intervento eseguito.

Generalmente, osteotomie e transfer tendinei richiedono tempi di immobilizzazione brevi (circa 30 giorni), una ripresa del carico sull’arto operato a circa 4 settimane dall’intervento, il ritorno alla guida dopo circa 50 giorni ed una completa soddisfazione del paziente, in relazione all’entità dell’intervento, con ripresa dell’attività sportiva dopo 3/5 mesi.

I tempi per le procedure di artrodesi sono indubbiamente più lunghi, ma il periodo di scarico (impossibilità di appoggiare l’arto) raramente eccede i 50 giorni.

Per tutti i pazienti l’idrokinesiterapia (riabituarsi a camminare in un contesto protetto qual è quello garantito dall’acqua) è una tecnica riabilitativa che velocizza sensibilmente il recupero.
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Le attività di ricerca del mio gruppo sul piede piatto

Il piede piatto o sindrome pronatoria o ancora disfunzione del tendine tibiale posteriore è una patologia a cui il mio gruppo si è dedicato con estremo interesse, per valutare il reale vantaggio delle tecniche più nuove e per studiarne il loro impiego nello sportivo, al fine di testarne e renderle efficaci anche per coloro che abbiano una richiesta funzionale elevata.

In particolare, mi sono dedicato in primis a valutare l’utilizzo di tecniche note per il paziente pediatrico (endortesi e calcaneostop) nell’adulto, pubblicando sul reale spazio che dovrebbe essere dedicato a queste tecniche nell’adulto (The calcaneo stop procedure).

Queste tecniche, infatti presentano, il vantaggio delle mini-invasività e il fatto di agire all’apice delle deformità. Tale vantaggio è imprescindibile in un paziente con un piede in fase di crescita, ma purtroppo non è ugualmente efficace in un paziente adulto.

Il tasso di fallimento di questa soluzione riportato in letteratura è oltre al 30% ed è per questo motivo che abbiamo sviluppato una linea guida che limiti questa soluzione nel paziente adulto.

D’altro canto il paziente adulto merita di essere curato con la stessa attenzione alla mini-invasività del bambino ed è per questo che abbiamo proposto e studiato una tecnica che preveda di associare una correzione scheletrica ad una trasposizione tendinea.

È una soluzione che il mio maestro, Mark Myerson, ha per primo descritto e di cui ha dimostrato l’efficacia. La nostra modifica consiste nella riduzione delle incisioni, della invasività e nella velocizzazione dei tempi di recupero.

Abbiamo pubblicato sulla rivista di riferimento di chirurgia ortopedia applicata allo sport (Return to sport activities after medial displacement calcaneal osteotomy and flexor digitorum longus transfer) i nostri risultati negli sportivi, una categoria ad elevate richiesta funzionale, dimostrando l’efficacia e la ridotta invasività di questa soluzione terapeutica per qualsiasi paziente in tempi molto più brevi che in passato.
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