Da quando ho imparato a camminare mi piace correre.
– Friedrich Wilhelm Nietzsche –

Il Tendine d’Achille: fragilità e forza dell’uomo moderno

Il tendine d’Achille è il pilastro principale su cui si regge il movimento quotidiano dell’uomo moderno. Il suo punto di forza ma anche la sua più grande fragilità.

Correre verso il terminal di aeroporto quando si è in ritardo.
Camminare speditamente per raggiungere la carrozza di un treno.
Correre per prendersi cura del proprio corpo e della propria mente.
Stare fermi in piedi, aspettando il proprio turno.
Sono tutti momenti di vita quotidiana nei quali trovare un equilibrio tra spostamenti, lavoro e benessere è un privilegio.
Questo equilibrio passa attraverso il nostro tendine d’Achille, perché il movimento è vita (cit. Still) ed il tricipite (volgarmente polpaccio) è il nostro motore.

In quest’articolo approfondiremo l’anatomia del tendine d’Achille, scoprendo cos’è, quali sono le sue funzioni, quali sono le principali patologie connesse e quali sono le cure, gli interventi chirurgici e le terapie.

 

Descrizione Anatomica del Tendine d’Achille

Il tendine d’Achille è anatomicamente il tendine più lungo e soggetto alla maggiori forze del nostro corpo. Ha pertanto una struttura molto particolare.

Innanzitutto deriva dall’unione di tre muscoli (da cui il nome tricipite):

  • gastrocnemio mediale;
  • gastrocnemio laterale;
  • soleo.

I primi due hanno origine prossimale (sopra) al ginocchio, posteriormente, il terzo distale (sotto) al ginocchio.

Questo spiega perché una brevità achillea possa condizionare il ginocchio in flessione. È la motivazione per cui quando si visita un paziente affetto da una patologia al tendine d’Achille può essere importante farlo a ginocchio esteso e flesso: serve per valutare separatamente il ruolo dei muscoli che si inseriscono prossimalmente al ginocchio, da quelli che si inseriscono distalmente.

I tre muscoli si uniscono per dare vita al tendine d’Achille che si inserisce sul calcagno.

Il ruolo del tendine d’Achille durante il passo è di plantarflessione della caviglia, per questo è l’attore principale durante la fase di spinta, in cui il calcagno si solleva da terra.

In realtà, è attivo anche nella altre fasi del passo con un ruolo di modulatore dell’azione degli altri muscoli antagonisti.

Il tendine d’Achille ha un’azione anche sul piede tramite la fascia plantare. La fascia, infatti, può essere letta come un’espansione entesiforme (una sorta di tendine allargato a forma di vela) che trasmette all’estremità del piede (ossa metatarsali) l’energia esercitata sul calcagno dal tendine d’Achille.

Il tendine d’Achille è, inoltre, avvolto nel suo decorso da un tessuto sottilissimo, denominato peritenonion, che lo avvolge e contribuisce al suo nutrimento.

Contrariamente a quanto avviene per altri tendini, nel caso del tendine d’Achille questo tessuto è molto sottile ed insufficiente ad apportare completamente il nutrimento, che, infatti, proviene per buona parte dal ventre muscolare del tricipite o dal calcagno e dalla sua sede di inserzione.

Ecco perché una delle sedi frequenti di lesione del tendine d’Achille è proprio a metà strada tra calcagno e tricipite, nel caso della tendinopatia non inserzionale achillea.
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Cos’è il Tendine d’Achille?

Il tendine d’Achille è il tendine più lungo e più forte del nostro corpo.
 
Ha il compito di trasmettere la forza esercitata dal tricipite a tutto il complesso piede e caviglia.
 
E, pertanto, il tendine che deve rispondere alle maggiori sollecitazioni meccaniche dell’intero organismo.
Per poter assolvere a questa funzione in modo efficiente, ha una importante struttura di controllo della propria funzione e della distribuzione dei carichi (propriocettività).
 

Quali sono le funzioni principali del Tendine d’Achille?

Il tendine d’Achille è quindi uno strumento di trasmissione e controllo di forze che contribuisce, nella sua integrità, a:

  • stabilità
  • movimento
  • equilibrio

Consta, quindi, di unità neuro-mio-tendinee dedicate esclusivamente a produrre movimento ed altre, che contraendosi o rilasciandosi si comportano come dei veri e propri sensori che modulano l’attività di questo complesso motore (la famosa propriocettività del tendine d’Achille).

 

Perché è così importante prendersene cura?

Prendersi cura del tendine d’Achille, significa preoccuparci di:

  • tono muscolare del tricipite, allenandolo
  • tensione miotendinea, dedicandosi a stretching e propriocettività

In particolare, imparare ad ascoltare tutti i fusi neuro-muscolari, quelli destinati a produrre forza, ma anche quelli deputati al controllo, significa incrementare le capacità di controllo, imparare a gestire la fatica muscolare e comprendere quando siamo vicini ai nostri limiti.
Significa prevenire lesioni al tendine d’Achille, ma anche prevenire in generale cadute e preservare in generale la nostra capacità motoria.

 

Patologie al Tendine d’Achille: La tendinopatia achillea

Il Tendine d’Achille può essere soggetto ad alcune patologie.
Alcune strettamente legate alla tendinopatia achillea, altre invece legate agli altri muscoli coinvolti nel complesso dell’Achille.

Ecco le principali patologie al tendine d’Achille:

  • Tendinopatia inserzionale achillea
  • Tendinopatia non inserzionale achillea
  • Lesioni muscolari: strappo o stiramento del polpaccio
  • Lesioni miotendinee: strappo del tendine d’achille
  • Rottura del tendine d’achille
  • Fascite Plantare e Spina Calcaneare

Analizziamole nel dettaglio

La tendinopatia inserzionale achillea

Tendinopatia Inserzionale Achillea
Tendinopatia Inserzionale Achillea

Quando il tendine si ammala dove si inserisce a livello achilleo, la patologia infiammatoria e la sintomatologia dolorosa che ne deriva è fondamentalmente legata ad un stress meccanico.

Per semplificare dobbiamo immaginare il tendine che sfrega sulla borsa retroachillea (un tessuto che ha la funzione di ridurre lo stress dato dalle forze di taglio), che a sua volta sfrega sul calcagno, che a sua volta sfrega sui tessuti molli che lo avvolgono, che a loro volta sfregano sulla calza e sulla scarpa.

Dobbiamo immaginare una serie di forze di taglio che producono attrito e infiammazione al tendine d’Achille.

Ecco perché gli atleti più soggetti a questi problemi sono quelli che fanno sport da durata (mezzofondisti e maratoneti) e quelli che durante la loro attività usano stivali o calzature che aumentano l’attrito posteriore (sciatori e calciatori, per esempio).

Nella quotidianità c’è un uso frequente e continuo di scarpe anti-infortunistiche pesanti che puo’ facilitare l’insorgenza di questo problema.

Ovviamente esistono poi diverse caratteristiche che portano a descrivere diverse sottocategorie di patologie:

  1. esostosi retroachillea
  2. calcificazioni intratendinee
  3. spina calcaneare retroachillea

 

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L’esostosi retroachillea

Nella classica esostosi retroachillea il ruolo determinante è dato da una presenza in eccesso di calcagno. Il paziente lamenta dolore posteriore e, ad una prima visita, appare evidente una sorta di “gobba” posteriore che ha il ruolo negativo di aumentare i volumi e, pertanto, l’attrito.

Nella tendinopatia achillea inserzionale propriamente detta, invece, sono le calcificazioni intratendinee ad essere responsabili della maggior parte della sintomatologia dolorosa.

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Calcificazioni del tendine d’Achille o calcificazione intratendinea

Nella tendinopatia achillea inserzionale propriamente detta, invece, sono le calcificazioni intratendinee ad essere responsabili della maggior parte della sintomatologia dolorosa.
Si tratta di alterazioni del tessuto tendineo (metaplasie) che portano alla presenza di vere e proprie alterazioni del tessuto tendineo, assimilabili alla presenza di “sassolini” all’interno del tendine.
 
Queste calcificazioni hanno un impatto sul decorso della fibra tendinea e, quindi, condizionano il funzionamento del tendine d’Achille. Sono responsabili di infiammazione e dolore, che possono essere risolti con la loro escissione.
 
Sono da distinguersi dalle calcificazioni che frequentemente si osservano nei pazienti che hanno subito un allungamento del tendine d’Achille.
In questi casi specifici le calcificazioni non sono segno di patologia, ma sono semplicemente una modalità di guarigione del tendine rispetto al processo di allungamento.
 
 

La spina calcaneare retroachillea

È una patologia molto invalidante ed il paziente talvolta è davvero preoccupato dall’entità del dolore.

Il primo atteggiamento terapeutico proprio dello specialista è quello di tranquillizzare il paziente: non sono questi i malati soggetti ad un aumentato rischio di rottura del tendine d’Achille.

Pertanto, può essere una patologia invalidante, ma non incrementa il rischio di rottura.

E’ spesso associata alla presenza di calcificazioni intratendinee non infrequentemente alla presenza di esostosi retroachillea.
In questi casi è importante individuare la patologia o le patologie responsabili del dolore e proporre trattamenti selettivi e su misura per il singolo paziente.

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Tendinopatia inserzionale achillea: diagnosi

La diagnosi è clinica. In questo caso è lo studio dello scheletro che completa il processo.

Spesso è sufficiente una radiografia del piede in carico (in particolare, la proiezione laterale).

Nei casi dubbi, è ovviamente preferibile un esame di seconda generazione come una TAC in carico (Weight-Bearing CT Scan), che permette una visione tridimensionale del calcagno e dell’inserzione del tendine d’Achille sul calcagno in carico, associando, quindi, una visione più completa ad una correlazione con la funzione in carico.

 

Tendinopatia inserzionale achillea: terapie conservative

Dr. Federico Usuelli
Dr. Federico Usuelli

È la prima strategia a cui ricorrere. Le terapie fisiche rivestono un grande ruolo.

Infatti l’obiettivo è quello di ridurre l’infiammazione locale. Infatti, i tessuti infiammati hanno generalmente un volume maggiore e sono ipersensibili al dolore.

Il ruolo delle terapie è di incrementare il microcircolo, favorire lo smaltimento dei cataboliti dell’infiammazione e, riducendo l’infiammazione, ridurre il volume dei tessuti coinvolti dalla patologia.

Le terapie più utilizzate sono, pertanto:

  • onde d’urto focali;
  • tecarTerapia e laserterapia;

Il meccanismo d’azione è diversa, ma l’obiettivo lo stesso: ridurre l’infiammazione e stimolare il microcircolo.

Le terapie fisiche dovrebbero essere accompagnate da terapie fisiche manuali e attività fisica del paziente che incrementi l’elasticità tendinea: l’ideale sono, quindi, esercizi di stimolo eccentrico del tendine d’Achille (banalmente, allungamento contro resistenza).

Personalmente, non prescrivo mai talloniere in silicone, che potrebbero avere l’effetto positivo di ridurre lo stress meccanico sul tendine dando un lieve stimolo in equinismo, ma che indubbiamente hanno l’effetto negativo di ridurre i volumi nella calzature ed incrementare lo stress esercitato dalle forze di taglio.
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La medicina rigenerativa (PRP, aspirato midollare, Lipogems, terapie cellulari con monociti)

Al contrario di altre patologie, in questi casi a giocare il ruolo maggiore nella sintomatologia del paziente è l’infiammazione dettata dall’attrito e non la degenerazione.

Raramente suggerisco di ricorrere alla medicina rigenerativa per questo gruppo di patologie. La finalità è comunque solo anti-infiammatoria.

Pertanto, per queste patologie potrebbe essere utile ricorrere semplicemente a PRP, il derivato della medicina rigenerativa che generalmente risulta essere meno costoso.

Ovviamente, in questi casi, è bene spiegare che l’infiltrazione di PRP può essere dolorosa, perché effettuata in una sede infiammata e dove si ha poco volume disponibile per iniettare e ricevere il liquido.

Indubbiamente, nel caso di questo gruppo di patologie non rappresenta la panacea miracolosa e va considerata solo in casi selezionati.
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Tendinopatia inserzionale achillea: intervento chirurgico

Quando le terapie conservative non danno i risultati sperati, la chirurgia è una risorsa affidabile a cui ricorrere.

Esistono soluzioni endoscopiche che prevedono due piccole incisioni (“buchini”) lateralmente e medialmente al tendine.

Vengono usati per introdurre ottica (telecamera) e fresa per asportare il tessuto osseo in eccesso. È una soluzione mini-invasiva e assolutamente efficace, diventata velocemente molto popolare nei primi anni 2000. È poi risultata essere gravata da numerosi casi di recidiva del problema, legati all’impossibilità di andare ad eseguire una toilette intratendinea.

In poche parole è impossibile agire all’interno del tendine.

Questa soluzione oggi viene applicata in casi selezionati, in cui le calcificazioni intratendineee non sono presenti.

Quando l’alterazione anatomica è più complessa, trova indicazione l’osteotomia di Zadek, eseguibile con tecnica mini-invasiva anch’essa.

L’osteotomia di Zadek ha l’obiettivo di modificare il braccio di leva del tendine d’Achille sul calcagno.
Si tratta, in ogni caso, di soluzioni mini-invasive, che non richiedono incisioni importanti, ma semplici “buchini” (2) e che permettono un carico immediato nel post-operatorio ed un recupero pieno nel giro di qualche settimana (6-8 settimane) con esenzione dalla guida per circa 4 settimane.

Quando e’ presente una calcificazione intratendinea, la tecnica utilizzata dal mio gruppo prevede un’incisione mediana intratendinea.
Tramite questa viene esposta la calcificazione, che è localizzata subito “dietro” il tendine. Viene così agevolmente asportata la porzione di calcagno che determina il problema senza la necessità di disinserire il tendine dal calcagno stesso.
Questo è un concetto moderno e innovativo: in questo modo il tendine d’Achille non perde la tensione originaria, come altrimenti avviene in caso di disinserzione e reinserzione.

Si tratta di un intervento eseguibile in day-hospital o con una notte di ricovero.

Nel decorso sono necessarie due stampelle per 3 settimane con un carico completo da subito.

È prevedibile la ripresa della guida a circa 40 giorni.

La ripresa di attività sportiva agonistica e’ prevedibile a circa 4-6 mesi dall’intervento.

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TENDINOPATIA NON-INSERZIONALE ACHILLEA

Tendinopatia Non Inserzionale Achillea
Tendinopatia Non Inserzionale Achillea

Il tendine si può ammalare a circa due o tre centimetri dalla sua inserzione calcaneare, dando vita ad un alterazione della forma del tendine caratteristica, a “clessidra”.

La tendinopatia non inserzionale achillea, conosciuta anche come tendinite o tendinosi achillea, è una patologia del tendine che può avere un esordio insidioso. Il dolore non si presenta costante, almeno inizialmente.

Tuttavia, questa è una patologia che comporta il rischio di rottura del tendine d’Achille. Questo rischio è stato spiegato con un difetto della vascolarizzazione del tendine.

In effetti, questa patologia si manifesta circa a metà distanza tra l’inserzione sul calcagno e la giunzione miotendinea, ossia nella regione anatomica più lontana dal supporto vascolare e di nutrizione del tendine.

Colpisce generalmente pazienti dai 30 ai 50 anni, ma non è infrequente anche nei trentenni. Una diagnosi precoce è la chiave per “controllare” il rischio di rottura completa del tendine.
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Tendinopatia non inserzionale achillea: diagnosi

 
La diagnosi è clinica, ma ovviamente ecografia e risonanza magnetica possono confermare la diagnosi e la sua sede.
 
E’ invece poco utile usare una comune risonanza magnetica per monitorare nel tempo questa patologia o per comprenderne l’evoluzione.
 
E’ possibile che tecniche di imaging funzionale, come l’elastosonografia (una metodica che studia la capacità del tendine di vibrare se sollecitato) o risonanze magnetiche con T2 Mapping possano, in futuro, essere utilizzate per comprendere evoluzione della patologia e risultati ottenuti da terapie conservative, rigenerative o chirurgiche.
 

TENDINOPATIA NON-INSERZIONALE ACHILLEA: terapie conservative

È indubbiamente la prima scelta a cui ricorrere.

Onde d’urto focali, Tecar-Terapia e magnetoterapia hanno l’obiettivo di stimolare la vascolarizzazione dell’area.

Il risultato può essere completo in termini di controllo della sintomatologia, ma anche in questi casi è utile monitorare il paziente nel tempo per stimare e prevenire, quando possibile, il rischio di lesione del tendine, passando al secondo livello terapeutico, quello della medicina rigenerativa.
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La medicina rigenerativa (PRP, aspirato midollare, Lipogems, terapie cellulari con monociti)

Ha il duplice obiettivo di controllare e risolvere la sintomatologia e di ridurre il rischio di rottura del tendine, dando uno stimolo rigenerativo.

Ovviamente per questa patologia è importante privilegiare l’aspetto rigenerativo a quello anti-infiammatorio.

Il mio gruppo, per primo, si è dedicato allo studio dell’utilizzo della frazione stromale del tessuto adiposo come fonte di cellule multipotenti. In poche parole, per primi, abbiamo curato la tendinopatia non inserzionale achillea con l’utilizzo di cellule multipotenti prelevate dal tessuto adiposo, confrontandole con il PRP.

Abbiamo dimostrato la sicurezza e l’efficacia del trattamento, pubblicando i risultati sulla rivista europea di riferimento per la chirurgia ortopedica dello sport.

La medicina rigenerativa non si aspetta , al termine del suo iter, di ottenere un ripristino della forma del tendine d’Achille originaria. Al contrario, il tendine continua ad avere il suo aspetto a clessidra, ma diviene asintomatico e, nei casi di successo della terapia, si riduce l’area di tessuto patologico.

Fatte queste premesse, penso possa essere utile entrare ancora di piu’ nel dettaglio.

La Medicina Rigenerativa trova una prima e più accessibile soluzione nel PRP (terapia acellulare) con una finalità primariamente anti-infiammatoria ed in parte rigenerativa.

E’, però, la terapia cellulare la soluzione più evoluta e scientificamente avanzata.

Il PRP (gel piastrinico o pappa piastrinica) è ottenuto dal sangue del paziente mediante un semplice prelievo venoso, in ambulatorio. Tramite un processo biochimico e di centrifugazione viene separata la componente cellulare del sangue da quella acellulare, isolando i mediatori dell’infiammazione.

Ovviamente, la sigla PRP indica la metodologia, ma poi ne esistono diverse tipologie con caratteristiche, obiettivi e potenziale diversi. E’ importante compiere la scelta biotecnologica migliore per il paziente che deve essere informato.

La patologia achillea non inserzionale, tuttavia, è in primis, patologia degenerativa e la Medicina Rigenerativa è protagonista della cura soprattutto per quello che oggi definiamo come rivoluzione immunocentrica.

In parole semplici, il termine rivoluzione immunocentrica indica la possibilità di utilizzare cellule mononucleate isolabili dal sangue, dal grasso e dal midollo osseo (mediatori dell’infiammazione) per spegnere l’infiammazione e la degenerazione e richiamare le cellule delle rigenerazione (prelevabili da grasso e midollo osseo).

Ecco condensata la Terapia cellulare per la cura delle tendinopatia non-inserzionale.

E’ un argomento di ricerca a cui il mio gruppo ha contribuito in modo importante, prima disegnando e pubblicando il primo studio randomizzato di confronto di terapia rigenerativa acellulare e cellulare (cellula mesenchimali prelevate dal tessuto adiposo) per la cura della tendinopatia non inserzionale achillea.
“Intratendinous adipose-derived stromal fraction (SVF) injection provides a safe, efficacious treatment for Achilles tendinopathy: results for a randomized controlled clinical trial at a 6 month follow-up (Usuelli FG, et al Knee Surg Sports Traumatol Arthrosc. 2018. PMID: 28251260 Clinical Trial)”: è il frutto di questa ricerca: uno degli studi più citati sull’argomento dalla letteratura internazionale.
Successivamente, il nostro algoritmo terapeutico è stato proposto come linea guida sulla rivista scientifica internazionale Foot and Ankle Clinics: Biologics in the Treatment of Achilles Tendon Pathologies (Indino C, D’Ambrosi R, Usuelli FG. Foot Ankle Clin. 2019 Sep;24(3):471-493).

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TENDINOPATIA NON-INSERZIONALE ACHILLEA: intervento chirurgico

Dr. Federico Usuelli
Dr. Federico Usuelli

Quando la terapia conservativa e la medicina rigenerativa non raggiungono i risultati sperati, è necessario ricorrere alla chirurgia, per ottenere il duplice risultato di controllare la sintomatologia lamentata dal paziente – risolvendola – e per prevenire la possibile rottura achillea.

Esistono due grandi famiglie di interventi chirurgici per la tendinopatia non-inserzionale achillea:

  1. chirurgia del complesso achilleo plantare con possibile associazione di Medicina Rigenerativa, distinte in base al loro obiettivo:
    • stimolo del processo biologico di guarigione del tendine malato
    • riduzione dello stress biomeccanico sul tendine malato
  2. chirurgia dei transfer tendinei

 

Tecniche di Stimolo del Processo Biologico di Guarigione

Storicamente il più noto è l’intervento di scarificazione del tendine, che prevede una toilette aperta del tendine associata a piccoli tagli per indurre rigenerazione.

Il rischio concreto di questa soluzione è quello di danneggiare il tendine più di quanto l’organismo sia indotto a rigenerare. Per questo motivo, la naturale evoluzione di questa tecnica è lo stripping achilleo, una soluzione mini-invasiva che, tramite 4 piccoli “buchini”, ha l’obiettivo di favorire lo scollamento del peritenonion (guaina che avvolge il tendine d’Achille, riccamente innervata e vascolarizzata) dal tendine, inducendo una deafferentazione delle fibre nervose che trasmettono dolore e inducendo sanguinamento e, quindi, rigenerazione.

Basandosi sulla capacità autologa di rigenerazione dell’organismo, lo stripping può essere implementato con tecniche di Medicina Rigenerativa (rivoluzione immunocentrica mediante cellule mononucleate e mesenchimali prelevate da tessuto adiposo o aspirato midollare) per massimizzare il potenziale rigenerativo del soggetto.

Tecniche di Riduzione dello Stress Biomeccanico sul Tendine Malato

Esistono diverse soluzioni tecniche a bassa invasività: sezione della fascia tricipitale secondo Strayer, Bauman o Barouk.

Sono tecniche che prevedono piccole incisioni (inferiori ai 2 cm) in sedi diverse, ma che hanno l’obiettivo comune di ottenere un release del complesso achilleo-plantare.

Sono soluzioni che possono essere associate allo stripping achilleo e alla Medicina Rigenerativa.

CHIRUGIA DEI TRANSFER TENDINEI:

Esistono due diverse scelte:

  • la trasposizione del flessore lungo dell’alluce;
  • l’utilizzo del semitendinoso.

Il tendine del semitendinoso viene prelevato dal ginocchio omolaterale, come abitudine anche della chirurgia del legamento crociato anteriore, senza che la funzionalità del ginocchio possa essere compromessa.

Quando si utilizza questa tecnica, si esercitano 3 piccole incisioni, due prossimali all’area patologica ed una a livello del calcagno. Con questo tipo di trasposizione tendinea, il semitendine viene utilizzato a ponte della lesione per scaricarla meccanicamente. Si ottiene così il controllo della sintomatologia e la riduzione del rischio di rottura.

È un ottima tecnica, poco invasiva, con il limite, tuttavia, di fornire un supporto meccanico e non biologico al tendine malato.

Per questo, oggi è molto più utilizzata la trasposizione del tendine flessore lungo dell’alluce per supplementare l’Achille.

Si tratta di una tecnica chirurgica eseguibile in endoscopia o mediante una piccola incisione, posteriormente al malleolo tibiale.

Viene isolato il tendine flessore lungo dell’alluce e trasferito sul calcagno. Con questa tecnica è possibile ottenere un supporto biomeccanico e biologico (vascolare) del tendine, controllando la sintomatologia e riducendo il rischio di lesione.
E’ un intervento eseguibile in day-hospital o con una notte di ricovero. È necessaria un’immobilizzazione con tutore per circa 3 settimane, ma il carico è concesso da subito.
È prevedibile un ritorno alla quotidianità in carico completo nell’arco di 2 mesi, un ritorno ad attività sportiva agonistica a 4-6 mesi circa dall’intervento.
Per ulteriori approfondimenti, In quest’articolo abbiamo affrontato le principali differenze tra tendinopatia inserzionale e non inserzionale.

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LA ROTTURA DEL TENDINE D’ACHILLE

Rottura del Tendine d'Achille
Rottura del Tendine d'Achille

Con l’esclusione delle rare lesioni da taglio, la rottura del tendine d’Achille è sempre l’espressione finale di un processo degenerativo cronico.

Spesso il paziente descrive con precisione un momento che ricollega alla lesione.

Tuttavia, in questi casi, è bene immaginarsi il tendine d’Achille come una corda sfilacciata in cui il meccanismo ultimo di lesione gioca un ruolo davvero marginale.

La rottura è espressione della malattia degenerativa.

Colpisce generalmente pazienti tra i 40 ed i 60 anni, ma non è rara negli atleti trentenni.

I pazienti descrivono classicamente una fitta, associata alla sensazione di un “calcio da dietro”.

In questi casi è possibile prevedere un percorso di guarigione completamente conservativo, che non richieda un intervento. Questo tuttavia passa una serie di gessi (sopra il ginocchio) ed un periodo di immobilizzazione di circa 90 giorni.

Ecco perché, nei pazienti con una vita attiva, la soluzione chirurgica rappresenta la via più veloce ed efficiente per la guarigione dopo la rottura completa del tendine d’Achille.

La diagnosi di lesione può essere ottenuta anche solo clinicamente. L’ecografia è l’indagine di imaging di primo livello per confermare la diagnosi clinica.

Il ruolo della RMN (risonanza magnetica) è di stabilire l’entità della retrazione dei monconi di lesione per poter identificare la tecnica migliore.

In caso di minima diastasi tra i due monconi di lesione, oggi esistono soluzioni chirurgiche mini-invasive che, addirittura senza incisione, o con un’incisione minima (2-3 cm) permettono un riallineamento dei monconi di lesione ed un ripristino “ad integruum”, ottimo, veloce e minimizzando l’invasività.

Per una descrizione più completa di queste opzioni terapeutiche rinviamo all’articolo specifico sulla rottura del tendine d’Achille.

Nei casi in cui la rottura abbia provocato una diastasi dei monconi (più frequenti nei casi di lesioni croniche achillee, ossia diagnosticate tardivamente, ad oltre 20 giorni dall’evento) o nei casi in cui la rottura avvenga a livello della giunzioni miotendinea (quindi, una lesione alta), la soluzione chirurgica di scelta del mio gruppo è quella della trasposizione tendinea del flessore lungo dell’alluce.

Questa permette di evitare grandi lesioni e utilizza un tendine sano (appunto il flessore lungo dell’alluce che viene trasposto) come strumento di guarigione della lesione.

Questa scelta permette di minimizzare invasività dell’intervento e di favorire un ritorno ad attività sportiva in tempi ridotti.

È bene comunque ricordare che, indipendentemente dalla scelta chirurgica, il decorso richiede un’immobilizzazione per circa 40 giorni.

Il nostro protocollo si discosta da quello tradizionale, prevedendo un’immobilizzazione da subito a 90° per favorire una riabilitazione precoce.

Il carico completo viene concesso a circa 2 mesi, la guida in un periodo che varia tra i 2 ed i 3 mesi.

L’attività sportiva agonistica viene concessa in un periodo che varia tra i 6 ed i 9 mesi.

Ovviamente in questi casi la medicina rigenerativa gioca un ruolo sinergico per stimolare i processi rigenerativi messi in atto dalla chirurgia.
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LA FASCITE PLANTARE e la SPINA CALCANEARE

La fascite plantare è un’infiammazione della fascia plantare, che il più delle volte si manifesta con un dolore urente, invalidante a livello del calcagno, spesso in concomitanza con l’immagine radiografica di una “spina”.

Per molto tempo si è interpretata l’immagine radiografica della spina, come causa del problema e terapeuticamente ci si è “accaniti” contro questa immagine.

Oggi è chiaro che la sintomatologia lamentata dal paziente dipenda da una sollecitazione eccessiva della fascia plantare, che diventa dolorosa alla sua inserzione sul calcagno e lungo il suo decorso nel piede.

La fascia è, però, una struttura intimamente collegata nella sua funzione al tricipite e al tendine d’Achille.

Ecco perché ritengo doveroso parlarne nella sessione dedicata al tendine d’Achille. Il suo ruolo, infatti, è quello di trasmettere l’energia prodotta dalla contrazione del tricipite all’avampiede, mediante il tramite del tendine d’Achille e del calcagno, che agisce come una sorta di puleggia meccanica.

La fascite è una patologia che spesso insorge nelle “mezze stagioni”, in primavera o al termine dell’estate. La sintomatologia prende il via, proprio quando si cambiano le calzature. In primavera, per esempio, si cominciano ad introdurre scarpe basse, o, in autunno, si smette di utilizzarle.

È un problema che si manifesta con un dolore acuto, che, frequentemente, può cronicizzarsi. La terapia iniziale è ovviamente conservativa.

Gioca un ruolo determinante lo stretching del tricipite e dei flessori (il “polpaccio”).

Nei confronti di questa attività, le terapie fisiche che stimolino il microcircolo localmente, come onde d’urto focali e tecar-terapia hanno un ruolo sinergico, ma non sostitutivo. La terapia conservativa è la soluzione in oltre l’80% dei pazienti costanti e motivati nel ripetere gli esercizi.

Solo nei casi di insuccesso delle terapie conservative, la medicina rigenerativa rappresenta un’utile strategia a cui ricorrere.

L’ultima risorsa a cui guardare è, poi, la chirurgia rappresenta un’indicazione verso cui guardare co moderazione e prudenza.

Oggi esistono soluzioni completamente mini-invasive e sicure, ma date le grandi potenzialità del trattamento conservativo è davvero indicata solo in casi estremamente selezionati.

Ovviamente, può contribuire al risultato finale la correzione di una deformità scheletrica concomitante, come quella di un piede cavo supinato o di un piede pronato, pesando e commisurando con attenzione entità della patologia e importanza dell’intervento.

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Lesioni muscolari: strappo o stiramento del polpaccio

Dove?

Le lesioni muscolari possono interessare il piano profondo (muscolo soleo) o superficiale (muscoli gastrocnemio mediale e laterale) e possono essere lesioni incomplete (stiramenti) o complete ( strappi muscolari). Il paziente riferisce dolore a livello del “polpaccio” e può essere, nel caso degli strappi maggiori, un dolore urente, paragonabile ad un crampo “amplificato” ed essere seguito dalla presenza di un livido (ematoma).

 

Diagnosi

La diagnosi è clinica, ma ovviamente ecografia e risonanza magnetica sono importanti per completare la diagnosi, studiarne il tipo di lesione e monitorare nel tempo il processo di guarigione.

 

Cura

La cura è conservativa. Nei primi tempi l’attenzione terapeutica è volta a ridurre l’ematoma e evitare che lesione si “amplifichi”. Le terapie fisiche possono essere utili (Laserterapia e Tecarterapia), ma è importante evitare l’ipertermia che può indurre la formazione di calcificazioni in sede di riparazione. L’utilizzo di Medicina Rigenerativa nella gran parte di questi casi non è consigliato, quantomeno per l’acuto.
Nella fase riabilitativa è importante l’attività di potenziamento in eccentrica della muscolatura per ottenere un muscolo di nuovo forte ed elastico e proteggere l’area di riparazione.

 

Lesioni miotendinee: strappo del tendine d’Achille

Cosa sono?

Le lesioni miotendinee sono lesioni per cui il paziente sente un forte strappo a metà gamba, paragonabile alla sensazione di un calcio ricevuto da dietro.
La disabilità è importante e paragonabile ad una rottura achillea, con un ematoma maggiore.

 

Diagnosi

La diagnosi è clinica. Thompson test (manovra di spremitura del polpaccio con paziente prono ed osservazione della presenza di corrispondente flessione plantarflessione del piede) segno del Vallum (alterazione del normale profilo anatomico con presenza di una depressione locale) sono inequivocabili. Tuttavia, può essere difficile per lo specialista distinguere una rottura tendinea da una rottura a livello della giunzione mio-tendinea. Questo ha un impatto sul conseguente trattamento.

Ecco perché in casi simili ritengo che la Risonanza Magnetica rivesta un ruolo importante: permette di localizzare con precisione la lesione!

 

Cura

In questo caso, la domanda da porsi, è: “è possibile guarire conservativamente, senza operarsi?”. La risposta è sì.

La guarigione è una “restitutio ad integrum”, in poche parole, senza operarsi si torna come prima? La risposta è no.

In ultimo, un trattamento conservativo richiede lunghi periodi di immobilizzazione, spesso oltre i 90 giorni.

Ecco perché il trattamento di questa lesione può essere conservativo, ma in un paziente attivo (non solo in un paziente ad elevata richiesta funzionale o un grande atleta) è consigliabile un intervento chirurgico.

Tanto più che le trasposizioni tendinee offrono possibilità di cura affidabili, mini-invasive e veloci.

In passato, infatti, questi interventi venivano eseguiti con ampie incisioni e conseguenti importanti cicatrici chirurgiche con l’obiettivo di andare a riparare la lesione, andando letteralmente a ribaltare una porzione di fascia miotendinea per rigenerare il tendine e la giunzione miotendinea rotta. Sono interventi di discreta invasività, poco gratificanti in termini di ripresa funzionale.

Oggi, questo genere di lesione, invece, viene curata con una chirurgia che richiede una incisione di circa 1.5 cm o in endoscopia, prelevando da questa incisione, in prssimità del malleolo tibiale, posteriormente ad esso, un tendine ( flessore lungo dell’alluce) sano del nostro corpo ed utilizzandolo come nuovo tendine d’Achille e come supporto funzionale e di guarigione il complesso mio-tendineo achilleo lesionato.

In poche parole, invece di riparare un tessuto degenerato, mettendoci volgarmente una “pezza”, si sostituisce l’unità funzionale malata con un tendine sano e molto ben vascolarizzato: il flessore lungo dell’alluce.

Si tratta di un intervento, in mani esperti, di circa 20 minuti, che consente un carico immediato, tutelato in un tutore per 3 settimane, un ritorno alla guida e alle normali funzioni senza tutori a circa 4-5 settimane, un ritorno allo sport a circa 3 mesi.

 

Prevenzione delle patologie al Tendine d’Achille

Non parliamo di attività fisica come di un luogo comune o come di un qualcosa di cui tutti sappiamo l’importanza, ma da cui la routine quotidiana ha la capacità di distoglierci.

Il tendine d’Achille guarisce ed invecchia con noi.

Il benessere del nostro corpo coincide anche con il benessere dei nostri tendini.

Il nostro benessere è un cocktail di stimoli biochimici che il nostro organismo dall’esterno e dall’interno modula. E’ un ritmo ciclico e ordinato, regolato dal ritmo sonno-veglia che, in primis governa il nostro equilibrio ormonale, insieme ad altri stimoli.
L’attività fisica è correlata alla fatica, alla nostra produzione di cortisolo e di altri ormoni.

Ecco perché l’attività fisica è importante per il nostro tendine d’Achille e, in primis, l’attività fisica giusta è quella regolare.

Darsi degli obiettivi realizzabili e compatibili con la nostra routine quotidiana e con il proprio livello di benessere è fondamentale, così come darsi dei possibili traguardi da raggiungere migliorando.

Quindi, l’attività fisica ideale per i nostri tendini è quella che possiamo pianificare con regolarità e che contribuisce a ridurre i nostri livelli di stress.

Siamo in linea con le moderne teorie di bio-hacking, a cui tanti allenatori ed esperti di motivazione e comunicazione fanno riferimento.

Qualsiasi sia l’attività prescelta, sarà importante poi dedicarci a qualcosa di specifico per il nostro tendine d’Achille.

Non è vero, per esempio, che correre sollecita eccessivamente i nostri tendini. Se, però, siamo dedicati alla corsa, è utile ricordarsi che i nostri tendini hanno bisogno di attenzione.

Pianificare con regolarità stretching del tricipite (polpaccio) è fondamentale per ripristinare l’elasticità corretta del tendine stesso al termine dell’attività fisica pre-scelta.

Anche lo stretching, però, merita delle considerazioni.

Infatti, i nostri muscoli non si comportano come unità funzionali isolate.

Leibniz diceva: una monade non ha porte e finestre.

Ebbene i nostri muscoli non sono Monadi, ma sono intimamente correlati ai gruppi muscolari con cui lavorano (agonisti ed antagonisti). E’ realmente efficace, quindi, l’attività di stretching ed, eventualmente, di stimolo in eccentrica, che coinvolga tutte le catene posturali.

Nel caso del tendine d’Achille, per esempio, è importante soffermarsi anche sulla muscolatura posteriore della coscia (bicipite femorale, ma non solo) e sulla mobilità del bacino. E’, infine, utile coinvolgere anche gli antagonisti, dedicandosi a tibiale anteriore e estensori.

L’alimentazione, come l’esercizio fisico, contribuisce al benessere, ma per anni, in modo acritico si è stressata l’importanza di diversi integratori o di diete specifiche per il sistema muscolo-scheletrico.
La ricerca ha però evidenziato la presenza di markers di benessere che predispongono il soggetto a guarire o che riducono l’incidenza di patologie infiammatorie sistemiche o locali.
Tra queste, Vitamina D e presenza di grassi poli-insaturi sono un indicatore.

 

Il nostro centro specializzato in Tendine d’Achille e il valore della nostra ricerca

Il team di ricerca del dr. Usuelli
Il team di ricerca del dr. Usuelli

Il mio team, supportato dalla Direzione Scientifica di IRCCS Galeazzi dove ho lavorato per 10 anni prima di diventare responsabile di Ortopedia della Caviglia e del Piede di Humanitas San Pio X, ha ideato e condotto il primo studio descritto in Ortopedia sull’utilizzo delle cellule prelevate dal tessuto adiposo come stimolo rigenerativo per la patologia achillea non-inserzionale.

In questo studio per la prima volta abbiamo confrontato il PRP con la frazione stromale del tessuto adiposo.

Il nostro studio, per primo, ha descritto questo trattamento come sicuro ed efficace.

Tale studio è stato la base per approfondire lo scenario scientifico e individuare migliori metodiche di imaging per il tendine d’Achille. Ad oggi la risonanza magnetica, con un mapping dedicato, rappresenta uno strumento ideale per monitorare nel tempo l’evoluzione della tendinopatia achillea non-inserzionale.

I risultati di questi studi sono oggi pubblicati su alcune delle riviste più prestigiose del settore (KSSTA, British Bulletin e Foot and Ankle Clinics).

È un filone di ricerca a cui il mio gruppo continua a dedicarsi con passione, convinti che la rigenerazione sia la chiave per ridurre l’invasività delle procedure chirurgiche e ottenere pazienti sempre più soddisfatti.
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Federico Usuelli