AVETE MAI VISTO IL TENDINE D’ACHILLE DA QUESTA PROSPETTIVA? – Correlazioni con la fascite plantare
In questo articolo parliamo in dettaglio di:
Cos’è la fascite plantare?
La fascite plantare è un’infiammazione della fascia che comporta, nella gran parte dei casi, dolore in un’area specifica cioè l’area di inserzione della fascia plantare sul calcagno, motivo per cui il paziente l’associa alla spina calcaneare.
Qual è il meccanismo? Il paziente ha dolore sotto il calcagno, viene sottoposto ad una lastra, la lastra evidenzia una spina calcaneare. Per anni medici e pazienti si sono focalizzati su questa spina come causa del dolore, in realtà la letteratura moderna e l’esperienza ci dicono che quella spina è un’immagine radiografica, ma non è lì che ha origine il dolore, un dolore che sembra pungere. La spina non è altro che la calcificazione sull’inserzione del calcagno della fascia plantare, ma non è responsabile del dolore.
Ce lo dicono i tanti pazienti guariti di fascite plantare che si sottopongono ad una radiografia nel post operatorio e continuano ad avere la spina calcaneare. Quindi la causa di questo dolore, di questa fascite plantare è associata a un sovraccarico della fascia, un sovraccarico che successivamente provoca dolori dove la fascia si inserisce sul calcagno.
Si tratta di una patologia che spesso ha un’origine stagionale, ma non si può definire una patologia stagionale in quanto poi si protrae nel tempo. Parliamo di origine stagionale perché spesso d’estate cambiamo scarpe, usiamo scarpe basse o andiamo in giro con infradito sollecitando eccessivamente la fascia plantare oppure, al contrario, al ritorno in città dalle vacanze utilizziamo ancora una volta scarpe basse perché la stagione ce lo consente. La fascite plantare è quindi, in primis, una patologia che si verifica quando esponiamo il piede a un cambiamento. Questo discorso è valido per la gran parte della popolazione.
Torna in Cima
Questo discorso vale anche per gli sportivi?
In relazione a quanto appena spiegato, va poi fatto un distinguo per gli sportivi. La fascia plantare distribuisce i carichi durante la corsa, quindi è la struttura più sollecitata e che deve essere quanto più abituata ai cambiamenti.
Negli sportivi accade che spesso, al di là della stagione, un cambio di allenamento, un cambio del gesto tecnico, della corsa o del movimento o ancora un cambio di calzatura, può essere alla base di questa patologia. Allo stesso modo nel “super atleta”, la causa del dolore può anche essere davvero un semplice sovraccarico mal gestito che a un certo punto arriva ad incrementare il dolore e a cronicizzarlo.
Torna in Cima
Che tu sia una persona sedentaria o uno sportivo devi guardare al tendine d’Achille
Il tendine d’Achille non fa male nei casi di fascite plantare, ma spesso è la causa originaria del dolore. Il muscolo tricipite (che finisce nel tendine d’Achille), infatti, esercita la propria fase di spinta sull’avampiede con il tramite della fascia plantare.
La natura tende a ricreare dei sistemi anatomici che funzionano.
Partiamo dal quadricipite della coscia: quando diamo un calcio a un pallone, si contrare il quadricipite che trasmette la propria forza al tendine quadricipitale. Il tendine quadricipitale è l’estremità del muscolo che si inserisce sull’osso (l’osso in questo caso è la rotula), dalla rotula si departe poi un altro tendine, che è una struttura molto particolare nel caso del ginocchio. Infatti questo tendine, che si chiama tendine rotuleo, invece di connettere il muscolo al tendine, connette osso ad osso, ovvero la rotula alla tibia e trasmette il carico. Ora la natura ha ricostruito la stessa struttura per quanto riguarda il tendine d’Achille: lo chiamiamo il complesso achilleo plantare. In poche parole, il tricipite (detto volgarmente polpaccio) trasmette, quando si contrae, la propria energia al tendine d’Achille, che si inserisce sul calcagno che rappresenta, in questo complesso, quello che rappresenta la rotula nel ginocchio e il quale prosegue nella fascia plantare. É in questa interfaccia che si manifestano i maggiori sovraccarichi e quindi spesso il dolore si colloca in basso, ma altrettanto spesso la cura è in alto, a livello del muscolo. Quindi curare una fascite plantare, prima ancora di pensare a terapie fisiche, a medicina rigenerativa o a chirurgia, significa mantenere allungato il tricipite.
Conveniamo che lo stretching del tricipite è un’attività che serve per curare la fascite plantare e anche per fare prevenzione. Se non mi sono mai ammalato, ma mi riconosco nelle descrizioni di quei soggetti che possono sviluppare la fascite plantare (colui che cambia spesso scarpe o che fa un’attività sportiva cambiando gesto tecnico o cambiando calzatura) farò dello stretching per prevenire. Altra cosa, se sono guarito dalla fascite plantare devo considerarmi come un malato cronico in cui mantenere l’equilibrio è fondamentale per non cadere in una recidiva, quindi continuerò ad effettuare sistematicamente stretching del polpaccio anche se sono guarito.
Quando invece il problema si cronicizza in maniera importante lo stretching da solo può non essere sufficiente a risolvere il problema, ma è però ancora la prima cosa a cui dobbiamo ricorrere: ne va fatta almeno mezz’ora, quarantacinque minuti consecutivi, stando attenti a sollecitare il muscolo con delle ripetute graduali, ma lunghe: non di dieci secondi, ma da un minimo di un minuto a un massimo di due. In questo ci viene in aiuto l’attività fisica dello yoga: ecco perché alcune volte l’attività fisica appropriata è sia prevenzione che cura.
Lo yoga ci viene in aiuto perché non è solo stretching (pensiamo ad esempio alla posizione della piramide), ma è anche uno stimolo propriocettivo: in poche parole a piedi nudi darò degli stimoli di equilibrio, in posizioni non abituali per il piede, che mi permetteranno di ottimizzare la funzione del piede e di ridurre i sovraccarichi nella sua quotidianità, ecco perché se ho già fatto diverse terapie ripartire dallo stretching è la chiave per un risultato di successo.
Torna in Cima
Che ruolo hanno le terapie fisiche?
Ritengo che le terapie fisiche isolate non abbiano alcun ruolo e in merito bisogna essere chiari. Spesso succede di visitare un paziente che mi dice: “Dottore ho fatto tre onde d’urto e sto male allo stesso modo di prima!”
Non sono le onde d’urto ad essere inefficaci, ma è la metodologia. L’onda d’urto che ha una funzione non di sciogliere la famosa spina, ma di portare più sangue a quell’area, la Tecarterapia che ha la duplice funzione di indurre un mio rilassamento e di stimolare il microcircolo, quindi anche lei di portare più sangue a quell’area, la Limfa Teraphy che ha la funzione di ridurre l’edema osseo, quindi di ridurre il sovraccarico della fascia plantare sul calcagno, sono tutte soluzioni utili a patto che io le abbia fatte precedere dallo stretching e a patto che in concomitanza continui a fare lo stretching. Quindi la soluzione, per questo tipo di patologia, è lo stretching unito ad una buona dose di ottimismo e di forza di volontà perché è evidente che una settimana, dieci giorni o venti giorni dopo posso avere lo stesso dolore di prima, ma è importante non mollare e andare avanti. L’80% dei pazienti risolve questo tipo di problema conservativamente ed è a questo che bisogna guardare. Nella gran parte dei casi ricorrere alla chirurgia è un fallimento di queste diverse soluzioni. La chirurgia è una soluzione che oggi è percutanea, meno invasiva, ma che deve essere pensata e pianificata solo in casi isolati e davvero nei pochi pazienti che hanno fatto tutto come si deve senza riuscire a risolvere il problema. L’obiettivo della chirurgia percutanea è in questo caso di fare ciò che non siamo riusciti a fare con l’attività fisica corretta, ossia andare a ridurre lo stress sulla fascia plantare allungandola con un piccolo buchino sotto il calcagno. Questo è l’approccio della chirurgia percutanea meno invasiva alla fascia plantare, ricordiamo che pur essendo una soluzione a bassa invasività è una soluzione di salvataggio che viene dopo tutte le altre soluzioni intraprese.
Torna in Cima