Il piede e la caviglia del bambino

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“Il piede del bambino non è solo una versione ridotta di quello dell’adulto”.

Tutti noi nasciamo con i piedi piatti: è fisiologico!

Durante la crescita, quando impariamo a camminare, una base d’appoggio più ampia, quindi un piede piatto, rappresenta un vantaggio evolutivo, non una malattia. Sarà poi in un’età compresa tra gli 8 e i 12 anni che il piede progressivamente assumerà l’aspetto di un normale piede fisiologico dell’adulto. 
L’età corretta per una prima valutazione ortopedica del piede è tra i 6 e gli 8 anni, a meno che il pediatra non solleciti una verifica precoce.

A 2 anni: quasi il 100% dei piedi sono piatti. A 10 anni: il 4% sono ancora piatti.

Differenza tra piede piatto e piede piatto patologico

Il più delle volte il piede piatto nel bambino è asintomatico e i bimbi vengono visitati da un ortopedico per patologie concomitanti diverse.

Alcuni segnali deboli, non direttamente correlabili al piede piatto, possono essere affaticamento, crampi, episodica zoppia. Raramente il piccolo lamenta dolore all’interno dell’arco del piede, che può essere indice di sofferenza del tendine tibiale posteriore.

A volte, il piede piatto può causare deformità in valgismo dell’alluce dando vita al così detto “alluce valgo giovanile”.

Parlare con il bimbo e i suoi genitori, osservare l’usura delle sue scarpine e vederlo camminare, sono le quattro testimonianze necessarie a diagnosticare una sindrome pronatoria (piede piatto). Se strettamente necessario si eseguirà una radiografia dei piedi in carico, per studiare l’evoluzione della deformità.

Le sinostosi (ponti ossei tra articolazioni, che ne riducono dolorosamente il movimento) sono, invece, deformità che richiedono approfondimenti tramite TAC del retropiede.

La storia del trattamento del piede piatto dei bambini è fatta di plantari correttivi e calzature ortopediche. Oggi è scientificamente dimostrato che questi presidi non hanno alcuna utilità terapeutica.

È importante arrivare ad una diagnosi di piede piatto patologico entro gli 8-9 anni di vita, per non precludere possibilità terapeutiche offerte dalla chirurgia mini-invasiva, attuabile solo nella fase di crescita del bambino.

Il trattamento chirurgico è rappresentato dall’endortesi senotarsica: l’impianto di una protesi (molto simile ad una piccola vite del diametro di 8-9 mm) all’interno del seno del tarso, cavita’ naturale tra calcagno ed astragalo, che ha l’obiettivo di guidare, mediante stimoli propriocettivi, la crescita residua del piede, ottenendo progressivamente una correzione efficace.

Oggi le protesine più diffuse sono in titanio (materiale inerte, che non crea reazioni) e non vengono più rimosse nel 90% dei casi.

Nei rari casi in cui il piccolo paziente avverta fastidio durante le attività sportive e nei cambi di direzione repentini, è possibile rimuoverle ad un anno dall’impianto, senza compromettere la correzione ottenuta.

È un intervento consigliabile fino ad un’età limite di 15 anni circa (basandosi sull’età scheletrica del paziente); è decisamente poco invasivo, specie se paragonato ad eventuali correzioni in età più avanzata.

L’intervento viene eseguito in anestesia generale, come raccomandato nei pazienti pediatrici. 
Io, generalmente, opto per l’esecuzione dell’intervento bilateralmente per sottoporre il bambino ad una sola anestesia e garantirgli, sin da subito, un appoggio simmetrico. La durata complessiva dell’operazione da me eseguita è in media di 10 minuti.
I miei pazienti escono dalla sala con due punti riassorbibili ed uno stivaletto rigido in vetroresina per lato che permettono al bambino di caricare e camminare subito con confidenza sui due piedi operati con maggior stabilità e senza dolore.

Si rimane generalmente ricoverati per una notte e dimessi il giorno successivo.

Già dopo 3 giorni dall’intervento possono camminare, accusando poco dolore, e tornare a scuola, con loro probabile disappunto, evitando così prolungate assenze. L’importante è non sottoporli a lunghe camminate e carichi eccessivi.

Dopo 15 giorni, rimossi i gessi, si può tornare a praticare sport in acqua, e dopo 45 a correre. Per gli sport che comportano un minimo di rischio traumatico il tempo si allunga a 4-6 mesi.

A domanda, risposta

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