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Federico Usuelli12-giu-2025 10.00.027 min read

Intervento fascite plantare: quando diventa necessario

Esistono due tipi principali di intervento per la fascite plantare, entrambi di natura mini-invasiva. In questo articolo vediamo quando diventano necessari, per chi sono consigliati e come si svolgono. 

Inoltre approfondiamo il tema dei controlli post-operatori e tempi di recupero per tornare a una normale attività quotidiana.

Quando si opera la fascite plantare?

La chirurgia per la fascite plantare è l’ultima soluzione, che si deve considerare solo nei casi estremi in cui un trattamento conservativo prolungato (almeno 3 mesi) non abbia dato frutti e la disabilità sia rilevante.

La fascite plantare, infatti, deriva da un disequilibrio biomeccanico. Pertanto l’approccio terapeutico più efficace è quello di un esercizio fisico che permetta di risolvere questo disequilibrio. L’esercizio può essere coadiuvato da terapie fisiche e terapie infiltrative (da evitare il cortisone e da considerare invece acido ialuronico e/o medicina rigenerativa).

Quali tipi di interventi chirurgici esistono per la fascite plantare?

L’intervento chirurgico che più frequentemente viene utilizzato è il release della fascia plantare con cruentazione della sua inserzione. Si tratta di un intervento mini-invasivo, ossia che non ricorre a incisioni tradizionali, bensì a micro forellini paragonabili alla punta di una matita. Viene eseguito plantarmente e medialmente (non in un'area di carico) dove si inserisce la fascia plantare sul calcagno. 

È un intervento che si esegue con una anestesia periferica (blocco popliteo o ankle block) che può essere associato a sedazione in caso l’emotività del paziente lo richieda.

È davvero un intervento molto breve (meno di 5 minuti) e non richiede un ricovero.

Tuttavia, il limite di questa soluzione è che risulta efficace solo in una minoranza dei pazienti, che quindi devono essere ben selezionati.

La chirurgia infatti è indicata al paziente affetto da fascite plantare, che si sia già sottoposto a iter conservativo (esercizio fisico almeno 3 volte a settimana) per minimo 3 mesi e che abbiano lavorato su altri aspetti del benessere generale: sovrappeso, glicemia, alimentazione (markers o indicatori di benessere e di predisposizione a guarire).

I pazienti che rispondono meglio alla chirurgia per la fascite plantare sono coloro che hanno un piede cavo. In questo caso l’intervento può essere associato ad una correzione miniinvasiva del piede cavo mediante osteotomi del primo metatarsale. Si tratta di una piccola correzione che permette di cambiare la forma di un piede cavo patologico e che contribuisce a ridurre gli stress sulla fascia plantare. In questi casi la durata dell’intervento complessiva è di circa 15 minuti.

Visuale anatomica della zona in cui si colloca l'infiammazione e su cui viene effettuato l'intervento per fascite plantare.

È invece più raro che si consigli questo intervento ad un paziente con piede piatto o, ancor più raro, nel caso di un progressive collapsing foot (piede piatto patologico).

In questi pazienti, in caso di indicazione chirurgica per la fascite plantare spesso procediamo con allungamento del tendine d’achille. Questo non consiste in una vera e propria tenotomia ma in un intervento definito gastroc-release. Si tratta di una piccola incisione a metà gamba, attraverso la quale viene eseguito un release della fascia nella sede della giunzione miotendinea, appunto quindi a metà gamba: dove il muscolo diventa tendine d’Achille. 

È il modo meno invasivo per eseguire questa procedura che ha l’obiettivo di ottenere quello che non siamo riusciti ad ottenere con lo stretching del polpaccio: un tricipite più lungo e che distribuisce meno stress sulla fascia plantare.

Anche questo è definibile un intervento di chirurgia mininvasiva della durata di circa 15 minuti.

Infine, invece, una semplice toilette di tessuto cicatriziale con chirurgia open è sconsigliabile per l’impatto propriocettivo importante su sensibilità e gestione dell’equilibrio del piede.

Come si svolge l’intervento per fascite plantare

L'intervento per fascite plantare e la sua preparazione seguono una serie di step precisi.

Le patologie del piede hanno tutte una correlazione biomeccanica forte. Pertanto, la chirurgia viene pianificata su esami in carico ossia eseguiti in piedi (radiografie del piede in carico come esami di imaging di primo livello, TAC in carico come indagine di imaging di secondo livello).

Radiografia del piede in carico, necessaria prima di poter procedere a un intervento per fascite plantare.

La risonanza magnetica ha un ruolo secondario, ma può offrire informazioni utili sullo stress biomeccanico a cui sia sottoposto il calcagno (edema della spongiosa) e sullo stato di salute di fascia plantare, tendine d'Achille e tendini flessori.

La sicurezza dell’intervento è alla base del percorso. Il momento in cui viene accertata è il pre-ricovero in cui vengono eseguiti in ospedale (senza essere ricoverati) esami del sangue, visita anestesiologica e visita ortopedica (con un mio collaboratore).

Questo è il momento in cui vengono evidenziate eventuali criticità che porteranno, se presenti, a posticipare l’intervento.

Normalmente eseguiamo il pre-ricovero il giorno prima dell’intervento, ma non è una regola fissa e può essere concordato con la segreteria dell’ospedale in base alla disponibilità dei medici e dei pazienti stessi.

L’anestesia locale usata negli interventi per fascite plantare varia in base alla sede della chirurgia.

Nel caso del release della fascia plantare, l’anestesia può essere un ankle-block (anestesia dalla caviglia in giù), blocco popliteo (anestesia dal ginocchio in giù) più o meno associata a sedazione in base alle esigenze specifiche del paziente.

Nel caso l’intervento da eseguire sia il gastroc-release, l’anestesia sarà un blocco alto (eseguito con una puntura a livello della coscia) o una spinale, anche in questo caso associato o meno ad una sedazione.

L’intervento mini-invasivo di release della fascia plantare viene quindi eseguito con uno strumento chiamato beaver (un bisturi mini-invasivo con una punta estremamente sottile: più sottile della punta di una matita). Tramite questo beaver si esegue un release della fascia plantare e con la successiva introduzione di una fresa motorizzata simile a quella che usano i dentisti nel loro lavoro, tramite questo stesso forellino, viene cruentata la fascia plantare.

Questa procedura può essere coadiuvata dall’uso della Medicina Rigenerativa: cellule staminali prelevate dal tessuto adiposo (grasso) del paziente stesso o dal midollo osseo (iliac aspirate) durante la procedura. Queste cellule opportunamente isolate e concentrate vengono iniettate nella sede della chirurgia per favorire i processi di guarigione. 

La Medicina Rigenerativa non rappresenta una condizione sine qua non per il percorso di guarigione, ma semplicemente un agevolatore.

L’intervento, invece, di gastroc-release viene eseguito con una incisione di circa 1 cm laddove il polpaccio diventa tendine d’Achille (a metà gamba). In questa sede viene eseguito un release di questa fascia per ottenere un allungamento senza agire chirurgicamente sul tendine d’Achille.

Questa tecnica può anche essere eseguita con una incisione più in alto, nel cavo popliteo del ginocchio, mantenendo efficacia sicurezza e mini-invasività (procedura di Barouk).

I principali rischi di un intervento per fascite plantare

Entrambe le opzioni, release della fascia plantare per i pazienti con concomitante piede cavo e gastroc-release per i pazienti con piede piatto, non sono gravate da gravi morbidità.

E’ tuttavia importante sapere che non sempre sono risolutive e che spesso risolvono solo in parte il sintomo. Comunque, non esentano il paziente dalla cura del proprio benessere con attenzione alla forma fisica, alla propria alimentazione e ad esercizio fisico terapeutico eseguito con costanza.

Per quanto riguarda i rischi e le possibili complicanze dell'intervento, nel caso del release della fascia plantare sono descritti casi di parestesie diffuse anche a lungo termine (rare).

Nel caso del gastroc-release sono descritti casi di marcato ipotono del polpaccio anche a lungo termine (rari).

Post intervento: controlli e tempi di recupero

L’intervento di release della fascia plantare viene eseguito in day hospital (il paziente viene dimesso il giorno stesso) con utilizzo di stampelle, ma carico concesso per i primi 1-2 giorni. Sarà quindi possibile fare i primi passi fin da subito.

A 15 giorni il paziente viene controllato in ambulatorio e viene ricontrollato a 3 mesi. E’ in questo momento che si può avere un’idea dell'efficacia dell'intervento nel risolvere i sintomi del paziente.

Durante il periodo post-operatorio è importante che il paziente non aumenti di peso, continui a camminare e mantenga routine di esercizi di stretching di tricipite e ischiocrurali.

Foto della visita di controllo dopo un'operazione per fascite plantare, con dettaglio sul piede del paziente.

L'intervento di gastroc-release può essere eseguito in day hospital o con 1 notte di ricovero. Richiede utilizzo di Tutore Fix Walker (non articolato) alto fino sotto al ginocchio (paragonabile ad uno scarpone da sci) per 3 settimane.

In queste 3 settimane il paziente camminerà a pieno carico usando il tutore (che terrà in sede 24 ore su 24, anche la notte) aiutandosi con 2 stampelle solo se ne sentisse la necessità.

A 3 settimane viene programmato il primo controllo in cui si rimuove il tutore e si comincia a lavorare sul tono muscolare. La quotidianità è buona a 30 giorni (ripresa della guida), ma l’attività sportiva è generalmente eseguita con soddisfazione a circa 4 mesi dall'intervento, 8 a risoluzione dell’ipotono del polpaccio).

In entrambi gli interventi si ritorna a una scarpa antinfortunistica dopo 3 mesi.

È sempre a 3 mesi che le donne potranno cominciare ad indossare scarpe con tacco alla moda, progressivamente più alte.

 

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