Protesi di caviglia: i risultati della nostra tecnica chirurgica su JBJS America

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Il paziente con artrosi di caviglia

Artrosi di Caviglia: questo articolo è dedicato alla pubblicazione scientifica sui risultati della nostra tecnica chirurgica di protesi di caviglia su JBJS America, la rivista scientifica più autorevole in ortopedia:

Un paziente affetto da artrosi di caviglia è un malato per cui la quotidianità rappresenta una sfida.

Alzarsi al mattino per andare a lavorare, camminare anche per un breve tratto per portare il proprio bambino a scuola o, semplicemente, condurre la propria quotidianità, diventano “sfide”.

Spesso è un paziente nel pieno della propria vita lavorativa, che vede bruscamente ridotte le proprie capacità fisiche e lavorative.

Per di più, è davvero impervia anche la via della tutela legale e il riconoscimento delle disabilità.

La buona notizia è che lo scenario di cura negli ultimi anni è cambiato drasticamente in meglio.

Oggi sono sempre di più i pazienti che possono sperare in sostanziali miglioramenti della qualità della loro vita, preservando il movimento della loro articolazione malata, mediante:

  • joint preserving surgery;
  • protesi di caviglia.

Quando penso ad un malato di artrosi di caviglia, penso ad un guerriero della quotidianità, una sorte di Marte (dio della Guerra) moderno, con una piccolo torcia nella mano destra, simbolo degli sforzi, della motivazione e della comprensione della patologia, che sono richiesti ad ogni malato per imboccare la via della guarigione.

A voi, guerrieri, da oltre 10 anni, dedico tanto della mia vita professionale e personale e con voi vorrei condividere i passi in avanti che abbiamo fatto insieme.

Oggi insieme a Voi siamo diventati un riferimento per tanti chirurghi nel mondo che da noi vengono a formarsi e con noi vengono a promuovere e fare ricerca sull’artrosi di caviglia.

il paziente di artrosi caviglia
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L’evoluzione della protesi di caviglia

Avevo 30 anni ed eseguivo la mia protesi di caviglia dopo essermi formato in Italia, negli Stati Uniti e in Svizzera.

Oggi ho 40 anni e ho curato oltre 1.000 pazienti di artrosi di caviglia, operandoli e impiantando oltre 1.000 protesi di caviglia.

Ma cosa è cambiato in in questi 10 anni, dalla mia prima protesi ad oggi?
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La conoscenza e la formazione del paziente

Dieci anni fa, quando visitavo nel mio studio, la domanda più frequente era:

Dottore, meglio un’artrodesi o una protesi?

Oggi, la gran parte dei pazienti affetti da artrosi di caviglia, prima di conoscermi e incontrarmi in studio, sanno già che bloccare la caviglia con un’artrodesi, il più delle volte, non è l’ideale.

Oggi, i pazienti entrano nel mio studio conoscendo già il loro problema, chiedendomi informazioni in merito a quale protesi caviglia verrà loro impiantata ed a quali saranno vantaggi ed eventuali limiti.

Oggi, i nostri pazienti, ancora prima di essere operati, si riconoscono in quello slogan, che insieme a tanti di voi, abbiamo ripetuto:

Caricare per guarire, non guarire per caricare!

In mezzo c’è un percorso di diffusione di informazioni che dal primo giorno in cui ci siamo dedicati a questa patologia ho sentito necessario.

Il nostro compito, come pionieri nel nostro campo, non doveva limitarsi a contribuire, con i nostri dati, alla conoscenza e all’evoluzione scientifica sul tema.

L’obiettivo, in un campo così poco conosciuto e riconosciuto per una patologia cosi profondamente invalidante, doveva essere ed è stato quello di rendere fruibile la conoscenza, permettendo al paziente di riconoscersi nella patologia e di scegliere.

È il focus della nostra attività online, utilizzando mezzi che prima di noi venivano visti con dubbio e reticenza da tanti colleghi medici.

Attraverso il nostro sito, i social, la nostra pagina Facebook, Instagram, il canale Youtube, speriamo di aver contribuito ad avvicinare l’informazione al paziente, ma anche ad avvicinare i pazienti tra loro, contribuendo a costruire una community di persone, che abbiano esperienze e problemi da condividere per poter trovare una soluzione più facile all’artrosi di caviglia, ma anche ai tanti problemi pratici quotidiani che implica.

Questo è quanto ha reso possibile l’era dell’Internet delle informazioni.

Sono convinto che l’era alle porte, quella dell’Internet del fare, grazie ad evoluzioni tecnologiche come quella della blockchain, permetteranno ulteriori passi in avanti, favorendo, per esempio, la possibilità di poter acquisire sempre più dati, in modo sempre più trasparente, guadagnandone in agilità.

Ci immaginiamo un mondo in cui ogni paziente affetto da artrosi di caviglia o portatore di una protesi sarà in grado di donare o trarre legittimamente profitto dalla condivisione di informazioni relative al proprio corpo, alla propria attività e, perché no, alla propria emotività, nella consapevolezza della sicurezza di questi dati e della bontà del loro utilizzo.

Si tratta di un mondo che speriamo di contribuire a costruire. Si tratta di un mondo di cui i nostri figli godranno.
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L’attività scientifica

Operare tanti pazienti, significa prendersi cura di tanti pazienti.

Migliorare continuamente il gesto tecnico chirurgico, diventare un team sempre più affidabile: è la vocazione di un chirurgo.

Quando, però, si percorre il sentiero dell’innovazione, è ancora più importante guardarsi indietro, raccogliere i propri risultati e fare ricerca scientifica.

Questo per giustificare e provare la bontà delle proprie scelte, per accertarsi di essere sulla strada giusta, per motivare i pazienti e per migliorare le opportunità terapeutiche.

L’artrosi di caviglia differisce anche per questo dalla chirurgia protesica di altri distretti, dove, nella storia, grandi maestri hanno trasmesso la loro conoscenza di generazione in generazione.

L’innovazione, in chirurgia, è maestra di se stessa e la ricerca è l’arbitro critico a cui dobbiamo riferirci per non correre il rischio di diventare autoreferenziali e smettere di innovare.

L’apice della nostra attività di ricerca sta, indubbiamente, nei risultati ottenuti con la nuova tecnica che abbiamo creato, promosso e descritto per la chirurgia di protesi di caviglia.

Persino, la rivista scientifica più importante nel mondo scientifico ortopedico (JBJS America) ha dato spazio alla nostra tecnica, promuovendo il nostro articolo in cui parliamo di tecnica chirurgica e dei dati ottenuti con questa nuova soluzione ed affidabilità.

JBJS America è “La Rivista” dedicata all’ortopedia in generale e, raramente nella sua storia si è dedica a caviglia e piede. Altrettanto raramente, gruppi italiani hanno avuto il privilegio di pubblicare su questa rivista.

Sono dati che danno un’idea della portata di quello che stiamo facendo: la protesi di caviglia è diventata la soluzione per l’artrosi di caviglia ed il nostro approccio scientifico a questa patologia ha contribuito a raggiungere questo risultato.

Ovviamente, essere chirurghi, operare e curare nel tempo i nostri pazienti è il primo passo fondamentale.

Misurare e raccogliere i dati è altrettanto importante. È quello che permette di offrire risposte alle domande dei pazienti sulla base di dati e pubblicazioni reali, mai su sensazioni:

La nostra ricerca negli anni ha dimostrato e definito l’importanza dei centri di riferimento: i numeri del chirurgo e del suo team sono fondamentali per la sicurezza dell’intervento e per la formazione di altri chirurghi dedicati.

Ecco perché non è possibile trovare in ogni città, vicino a casa, un centro o un chirurgo dedicati alla cura dell’artrosi di caviglia.

Sono i numeri della patologia che non lo rendono possibile ed è importante centralizzare la patologia per dare al paziente la massima affidabilità, come abbiamo dimostrato in questa pubblicazione:

Talvolta, si confonde la chirurgia come un gesto eroico in cui il chirurgo è il suo protagonista.

In realtà, la chirurgia è un gioco di squadra.

È importante ogni ruolo:

  • chirurghi;
  • assistenti;
  • infermieri;
  • personale di sala;
  • personale dedicato alla sterilizzazione,

tutti contribuiscono al risultato finale.

Il mio team viaggia molto, cercando di avvicinarsi ai pazienti quasi in ogni regione, per poterli visitare e minimizzare spostamenti difficili e costosi.

Tuttavia, chiediamo loro di muoversi per un eventuale intervento nei nostri centri di riferimento (a Milano e a Roma): perché il team è un vantaggio ed una sicurezza soprattutto per loro.

Allo stesso modo, la crescita in termini di affidabilità e di risultati dell’intervento di protesi di caviglia ha progressivamente destato interesse.

Grazie ai nostri numeri, più semplicemente grazie ai tanti pazienti che si affidano quotidianamente a noi e grazie ai risultati ottenuti con loro, siamo riusciti a realizzare una grande casa, dedicata ai pazienti affetti da artrosi di caviglia: il nostro reparto di Ortopedia della Caviglia e del Piede presso Humanitas San Pio X a Milano.

L’attività di ricerca clinica ha l’obiettivo di ottenere dati, interpretarli per compiere nuovi passi avanti.

La ricerca ha anche l’obiettivo di rispondere a problemi e domande pratiche dei malati.

L’artrosi è una malattia invalidante, che colpisce paziente nel pieno della loro vita.

Per questi malati, diventa difficile la quotidianità: alzarsi al mattino per andare a lavarsi I denti, muoversi in casa, fare due passi con i familiari ed I propri figli.

Si tratta di pazienti per cui ottenere un riconoscimento della loro invalidità diventa difficile, perché spesso il loro problema viene “sminuito” con la definizione di “esiti di fratture di caviglia”.

Ebbene, penso che un dovere della nostra attività di ricerca sia quello di fornire anche risposte che i pazienti possano usare per motivare la richiesta di un aiuto istituzionale, a prescindere dalle scelte chirurgiche che decidano di intraprendere, obiettivo che abbiamo validato scientificamente:

Un filone della nostra attività di ricerca si è quindi dedicato a misurare queste disabilità, paragonandole ad artrosi d’anca, insufficienza renale e cardiaca.

Misurare e confrontare è la chiave per venire compresi! Confidiamo che sia un primo contributo verso un maggior riconoscimento di questa patologia.

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Un team dedicato, un reparto dedicato: Humanitas San Pio X

Il concetto del team negli anni si è evoluto.

Anni fa, se avessimo chiesto a chirurghi lungimiranti la chiave del loro successo, questi l’avrebbero individuata nella loro squadra e probabilmente vi avrebbero presentato i loro collaboratori medici.

È fondamentale non essere dei solisti, ma condividere il lavoro. Attraverso insegnamento e condivisione si curano sempre più pazienti in modo sempre più efficiente.

Più recentemente, chirurghi illuminati identificherebbero con il proprio team, anche ferristi, infermieri di sala ed infermieri di reparto.

Lavorare sempre con le stesse persone è un privilegio di pochi. Infatti, spessissimo le rotazioni nei grandi ospedali non favoriscono la creazione di team superspecializzati e dedicati.

Il principio teorico è che “tutti devono saper fare tutto”.

La realtà, però, è che le procedure chirurgiche sono nel tempo diventate sempre più sofisticate, gli strumentari sempre più complessi: avere un team di persone dedicate garantisce chirurgo e paziente!

Un chirurgo ancor più illuminato, nel suo team farebbe rientrare anche l’anestesista e la sua squadra.

In passato, infatti, era usanza comune, pensare ad Equipe chirurgica e ad Equipe anestesiologica come due squadre diverse con obiettivi diversi, quasi una a controllo dell’altra.

Oggi è invece chiaro che quando anestesista e chirurgo lavorino insieme, questa cooperazione permette, per esempio, strategie per ridurre le perdite ematiche e ridurre il dolore post-operatorio.

Oggi questi concetti sono sempre più attuali e vengono condensati nel concetto di “ERAS”.

È un ambito in grande evoluzione e nel tempo si sono addirittura sviluppati meeting e società scientifiche dedicate a questo focus (Orthopea), per cui, lo comunico con orgoglio, i nostri anestesisti sono un riferimento.

Oggi, un paziente sottoposto a protesi di caviglia viene messo in piedi e cammina sull’arto operato il giorno stesso dell’intervento o il giorno dopo l’intervento.

Questo non è un miracolo: è il lavoro di un team dedicato!

È il concetto di Fast- Track, dove professionalità del team e motivazione del paziente fanno insieme la differenza!

Ebbene, noi pensiamo che il nostro team sia fatto da noi chirurghi, dai nostri anestesisti, dai nostri infermieri, ma anche e soprattutto dai nostri pazienti.

La motivazione è una delle chiavi del risultato finale. È importante che il paziente si senta parte di questo team, lui insieme ai suoi cari, che hanno l’obiettivo ed il compito di stimolarlo ed incoraggiarlo nel programma di recupero.

La chiave del fast track e del rapid recovery, sta proprio nel paziente e nella sua informazione.

È il concetto innovativo del Fast-Track dove paziente , chirurgo, team del paziente (i suoi familiari) e team del chirurgo, insieme, rappresentano una risorsa per arrivare al processo di guarigione, non visto come un “miracolo passivo”, ma come un percorso in cui la motivazione fa la differenza.

Oggi tutto è davvero migliorato, è concreto e reale.

A conferma di questo, spesso nel mio studio, durante i controlli, mi capita di vedere pazienti operati che abbiano scelto di prendere l’appuntamento in una data comune di proposito, con l’obiettivo di reincontrarsi.

Il piacere di rivedersi e la gioia di trarre incoraggiamento l’uno dai miglioramenti dell’altro sono i sentimenti dominanti.

Un’organizzazione così sofisticata richiede competenze formazione, tecnologia, ricerca ed investimenti importanti.

Questo è il motivo per cui è importante avere alle spalle un grande gruppo che crede e sostiene il nostro progetto.

Grazie e presso Humanitas San PioX oggi esiste una casa dedicata alla Chirurgia della Caviglia e del Piede, la nostra Unità Operativa di Ortopedia della Caviglia e del Piede, che pensiamo abbia le caratteristiche per rispondere alle sfide che il futuro ci presenta, nella speranza e nella convinzione che i passi avanti fatti in questi 10 anni siano solo l’inizio.

Un abbraccio a tutti voi!

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