Valentino Rossi: frattura tibia e perone

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In questo articolo parliamo in dettaglio di:
Frattura di gamba (tibia e perone): quando è il momento giusto per operare?
Chiodo e placche. Come si scelgono?
Frattura tibia e perone: tempi di recupero
Il ruolo del perone e il rischio di artrosi di caviglia


Valentino Rossi ha acceso i riflettori su “tibia e perone”. Tra gli appassionati, si percepisce la preoccupazione.
È un trauma che, indubbiamente, compromette l’esito di questa stagione incerta ed appassionante. Come ci auguriamo tutti, però, non pare un trauma che debba preoccupare per la fine anticipata di una carriera leggendaria.
Innanzitutto, Valentino è stato operato subito. È indubbiamente un buon inizio!
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Frattura di gamba (tibia e perone): quando è il momento giusto per operare?

Damage-control e periodo finestra

Prima ancora del gesto chirurgico, è fondamentale scegliere il momento giusto per operare una frattura.
Soprattutto nei traumi ad alta energia, i tessuti molli che avvolgono la struttura scheletrica, sono i reali protagonisti del percorso di guarigione.

Sarebbe più realistico considerare le fratture di tibia e perone come delle lesioni dei tessuti molli con all’interno due ossa fratturate.

Questo ci permette di enfatizzare l’importanza dei tessuti molli: sono loro a dettare il momento giusto per l’intervento e a proteggere la tibia ed il perone operati, durante il percorso di guarigione successivo.
Nel caso sia possibile, programmare l’intervento entro le 24 ore, è indubbiamente un grande vantaggio: ristabilire la lunghezza e la stabilità dell’arto danneggiato, permette proprio ai tessuti molli di non andare in crisi e di avere un recupero più veloce.
Nel caso, però, in cui la frattura sia esposta o i tessuti molli siano, comunque, gravemente danneggiati, non sempre è indicato o possibile un intervento definitivo immediato.
In questi casi, le regole del “damage control”, prevedono una toilette (lavaggio del focolaio), in caso di esposizione della frattura, ed una sua stabilizzazione immediata con uno strumento molto simile ad un fissatore esterno o direttamente con un fissatore esterno.
L’obiettivo è di permettere ai tessuti molli di guarire e di non andare in sofferenza, ripristinando la lunghezza dell’arto. Non è da intendersi come un intervento definitivo.
Sarà, poi, compito di un secondo intervento (intervento di conversione), quello di ripristinare la reale anatomia della tibia e del perone fratturati.
Questo intervento deve essere programmato al termine del “periodo finestra” (tra il 5 e il 15 giorno o tra 10 e 21 giorni, a seconda della compromissione tegumentaria e delle condizioni generali del paziente).
Il periodo finestra è un momento in cui l’intervento di conversione non è ancora indicato per motivi emodinamici generali nel caso dei trauma più gravi e/o per compromissione dei tessuti molli che incrementerebbero il rischio settico (infezione).
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Chiodo e placche. Come si scelgono?

Nel caso delle ossa lunghe e, tibia e perone, non sfuggono a questa regola, le fratture diafisarie sono spesso sintetizzate con un chiodo (infibulo).
Dobbiamo immaginare un chiodo che stabilizza la tibia dall’interno, percorrendola per tutta la sua lunghezza e facendo presa a livello epifisario, ossia all’estremità dell’osso (in poche parole, dove questo si allarga).
Il vantaggio di questa metodica è innanzitutto l’inserimento del mezzo di sintesi: non richiede l’apertura del focolaio di frattura.
Il chiodo, nel caso della tibia, viene inserito dall’alto, sotto il ginocchio, con un piccolo taglio e posizionato a stabilizzare la frattura con strumentari dedicati, che non prevedono grandi incisioni.
Il vantaggio è quello di ottenere una riduzione anatomica, minimizzando lo stress sui tessuti molli e senza aprire il focolaio di frattura. È un grande vantaggio: permette che non vadano dispersi gli stimoli biologici che l’organismo stesso produce per favorire il fenomeno di guarigione.
Nel caso, però, in cui la frattura della tibia e del perone coinvolga l’articolazione (la caviglia), la frattura si definisce “frattura del pilone tibiale” ed i mezzi di sintesi di scelta cambiano.
In questi casi, un chiodo inserito dall’alto difficilmente riesce a ripristinare l’anatomia.
La caviglia, del resto, è un’articolazione congruente e per funzionare correttamente ha un bisogno vitale della sua forma originaria.
Pertanto, nel caso di una frattura articolare, i mezzi di sintesi più utilizzati sono placche e viti, che permettono di posizionare e stabilizzare ogni frammento al posto giusto.
Il vantaggio di questa procedura è la precisione. Lo svantaggio di questa procedura risiede nella necessità di aprire il focolaio di frattura.
Ecco perché negli anni sono nate tecniche “MIPO”, ossia mini-invasive, che minimizzano la necessità delle incisioni e che permettono di evitare l’apertura del focolaio di frattura. Sono placche che vengono fatte scorrere e scivolare sotto la pelle senza le necessità di dover esporre l’osso sottostante.
In realtà le tecniche “MIPO” non sono la soluzione ideale per ogni frattura.
Ancora oggi, tante fratture (forse la maggior parte di esse) richiedono l’apertura del focolaio per ottenere una riduzione anatomica.
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Frattura tibia e perone: tempi di recupero

I tempi di recupero possono variare in base a tanti parametri diversi, tra cui fondamentali sono l’età del paziente, lo stato di salute, il fatto che sia fumatore, il diabete ed anche una predisposizione generale al rischio di infezione.
Un chiodo endomidollare (infibulo) rappresenta una sintesi dinamica e può essere compatibile con un carico precoce.
Al contrario, le placche, sono un sistema di sintesi più rigido e prima di concedere al paziente un carico completo, è necessario che il percorso di guarigione ossea sia avanzato.
Una fisioterapia precoce può aiutare a ridurre la perdita di tono muscolare e ad ottenere un movimento il più vicino possibile a quello originario.
Tuttavia, anche una fisioterapia precoce deve scontrarsi con la sintomatologia dolorosa del paziente nel post-operatorio, che può condizionarlo pesantemente nei primi 15 giorni e portarlo ad adottare una posizione viziata in equinismo (punta di piedi).
Per questo motivo, pur valorizzando il ruolo di una fisioterapia precoce, nella nostra esperienza è importante immobilizzare a 90 gradi l’arto per i primi 10-15 giorni ed evitare una deformità in equinismo post-traumatico.
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Il ruolo del perone ed il rischio di artrosi di caviglia

Per tanti anni, si è minimizzato il ruolo del perone, ritenendo che non fosse un osso con il compito di trasmettere il carico.
Pertanto, la tibia ha storicamente beneficiato di grande attenzione negli interventi di riduzione. Al contrario il perone è stato trascurato.
Oggi, è evidente che, nella prevenzione all’artrosi post-traumatica, il ruolo del perone è determinante.
Infatti, è chiaro, non è certamente un osso attraverso il quale venga trasferito il carico. Tuttavia, condiziona la posizione dell’astragalo all’interno della caviglia.
Un perone che perda lunghezza sarà responsabile di una deformità post-traumatica in valgismo della caviglia. Un perone che risulti troppo lungo, al termine del percorso di guarigione di una frattura, viceversa, indurrà una deformità in varismo della caviglia.
Ecco perché, è sempre importante considerare il ruolo tra loro complementare di perone e tibia e pensare al complesso caviglia-piede, come ad un sistema al cui centro sia posizionato l’astragalo (il sole del nostro sistema), ma la cui posizione corretta possa venire “eclissata” da un dismorfismo del perone stesso.

In bocca al lupo, Valentino!
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Riconoscimento editoriale: / Shutterstock.com


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