la protesi di caviglia è la soluzione per la cura dell’artrosi

Introduzione

La protesi di caviglia è oggi, nei centri di riferimento, il trattamento di scelta per l’artrosi di caviglia.

Non è una novità, né una sorpresa, ma indubbiamente è un’acquisizione recente.

L’affidabilità di oggi è passata attraverso un’evoluzione dei design protesici e un processo di studio e comprensione della biomeccanica della caviglia.

Le prime protesi di caviglia negli anni ’70, erano sostanzialmente delle protesi d’anca rovesciate, evidentemente un design troppo semplicistico per ottenere risultati stabili a lungo termine.

Questi inizi, forse, approssimativi, si spiegano con l’entusiasmo scientifico dell’epoca. La protesi d’anca, in effetti, è stata un successo fin dagli albori.

Oggi l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha definito la protesi d’anca come “l’intervento più di successo del secolo scorso”.

L’evoluzione iniziale delle protesi ha prodotto design voluminosi e vincolati per rispondere al rischio di mobilizzazione.

La chiave del successo moderno è la completa rivisitazione di questi principi negli ultimi 10 anni: i design protesici di successo nella caviglia devono ridurre le resezione ossee e riprodurre nel modo più efficiente possibile l’anatomia originaria della caviglia.

Ecco, pertanto, che ci si è soffermati sulle caratteristiche della caviglia, perché, la caviglia non invecchia!

È un tema che affronto spesso in studio: nonostante ci regga in piedi per una vita, la caviglia ha un’anatomia talmente efficiente che la protegge dall’invecchiamento.

Difficilmente si sviluppa artrosi nell’età avanzata o per il sovrappeso. Questo avviene in presenza di altri fattori, che davvero esulano dall’età del paziente: deformità (grave piede piatto o cavo), un precedente trauma (fratture o distorsioni di caviglia ripetute), malattie infiammatorie sistemiche (artrite reumatoide, lupus, per esempio).

La caviglia si mantiene efficiente nel tempo, perché è congruente: ogni superficie combacia con la corrispondente. Questo deve essere ricreato in un design protesico di successo: astragalo realmente anatomico, a forma di tronco di cono (raggio mediale più corto del raggio laterale), corticale tibiale anteriore preservata.

Quando si parla di revisione di una protesi è perciò importante comprendere quale tipo di protesi è da revisionare.

Le protesi di prima e seconda generazione, quando revisionate, richiedono un impegno del chirurgo a colmare il difetto osseo che la rimozione di questi voluminosi impianti comporta.

È ovviamente diverso revisionare un impianto protesico moderno che ha preservato bone stock. Le strategie di revisione permetteranno più facilmente una revisione della protesi con un’altra protesi, preservando, ancora una volta, il movimento della caviglia.
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Il ruolo della learning curve del chirurgo nella sopravvivenza dell’impianto

Apprendimento e studio
Apprendimento e studio

La chirurgia protesica, indipendentemente dal distretto anatomico, beneficia di grandi volumi.

È acquisizione scientifica universalmente accettata e dimostrata che i centri di riferimento e, al loro interno, i gruppi di lavoro ad elevato volume, abbiano un ruolo centrale in chirurgia protesica nella gestione del primo impianto protesico, della revisione della protesi e della formazione di chirurghi dedicati.

A suffragare questo principio esistono numerosi studi scientifici dedicati alla learning-curve, ossia al processo di apprendimento dopo il quale il chirurgo possa definirsi pienamente affidabile nell’utilizzo di una determinata metodica chirurgica, nel caso specifico nell’impianto protesico.

In ambito di protesi di caviglia e learning curve, il mio gruppo, tra i primi nel mondo, ha condotto e pubblicato diversi studi: “Identifying the learning curve for total ankle replacement using a mobile bearing prosthesis” (pubblicato sulla rivista europea di Chirurgia della Caviglia e del Piede: Foot and Ankle Surgery) e “Pearls and Pitfalls for a Surgeon New to Ankle Replacements” (pubblicato su Foot and Ankle Clinics).

Con i nostri studi abbiamo identificato, per la prima volta, un cut-off oltre il quale un chirurgo dedicato alla chirurgia protesica di caviglia possa definirsi al termine della propria learning curve, ossia del proprio percorso di apprendimento.

In base ai nostri dati pubblicati, un chirurgo è definibile come un chirurgo esperto nella materia dopo 30 casi.

Ovviamente, non sono importanti soltanto il numero di casi eseguiti in generale, ma anche il numero di casi in un anno, che definiscono la consuetudine del chirurgo con la chirurgia protesica.

Con una simile motivazione, i centri di riferimento in Italia e nel mondo negli ultimi anni si stanno dedicando all’Istituzione di Registri Protesici, che raccolgano i numeri:

  • interventi eseguiti;
  • protesi impiantate;
  • tasso di revisione.

I dati, tuttavia, possono rivelarsi anche sterili e di difficile interpretazione. È un tema che abbiamo affrontato recentemente in un nostro studio pubblicato sulla rivista di Chirurgia della Caviglia e del Piede Europea.

Per rispondere a queste esigenze moderne, IRCCS Galeazzi dove ho lavorato per 10 anni prima di diventare responsabile di Ortopedia della Caviglia e del Piede di Humanitas San Pio X, ha creato per la prima volta un registro di chirurgia protesica, in cui, oltre a questi dati, vengono raccolti dati oggettivi e scale di valutazione (somministrate e acquisite dal chirurgo) e dati di soddisfazione e percezione dell’intervento acquisiti direttamente dal paziente (PROMS).

La novità e l’importanza di questo sforzo è tutto a beneficio della Scienza e dei pazienti, mossi dall’ideale di studiare e comprendere l’artrosi di caviglia e il ruolo della protesi di caviglia.

È per me fonte di orgoglio essere membro del Board di questo Registro Protesico, fin dalle prime ore. Ritengo che sia un impegno eticamente doveroso nei confronti dei nostri pazienti di ieri, oggi e domani.

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Le strategie per la revisione

Una protesi può aver bisogno di una revisione, in caso di insorgenza di complicanze o di semplice consumo a lungo termine.

La revisione di una protesi non obbliga necessariamente alla sua rimozione ed al passaggio ad un’artrodesi (fusione della caviglia), come si riteneva in passato.

È possibile, infatti, pianificare una revisione di una protesi con un’altra protesi, con l’ideale di mantenere il movimento di un’articolazione così importante e preservare la fase del passo il più fisiologica possibile.

Quando si pianifica una revisione di una protesi di caviglia con un’altra protesi, esistono strategie diverse. Il processo di decisione deve prendere in considerazione la causa del fallimento e la quantità d’osso residuo a disposizione, soprattutto a livello astragalico (bone-stock residuo).
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Le cause del fallimento

Pre Revisione
Pre Revisione

Radiografie di una protesi dolorosa da sostituire (da destra a sinistra; visione laterale, frontale e posteriore)

Post Revisione
Post Revisione

Radiografie di una protesi nuova (da destra a sinistra; visione laterale, frontale e posteriore)

Il fallimento di una protesi di caviglia può avvenire per diverse cause, che è possibile riassumere in tre grandi categorie:

  1. fallimento dell’impianto protesico;
  2. mobilizzazione dell’impianto e fratture peri-protesiche;
  3. infezione.

La complicanza dell’infezione ha una storia a sé e segue protocolli diversi dalle altre due cause di fallimento. È un tema a cui abbiamo dedicato tanto tempo del nostro studio per offrire ai pazienti valide alternative.

È, quindi, un argomento su cui abbiamo pubblicato, proponendo la nostra strategia terapeutica in un nostro articolo sulla rivista europea di chirurgia della caviglia e del piede: “Infections in primary total ankle replacement: Anterior approach versus lateral transfibular approach”.

La cura passa attraverso la guarigione dall’infezione.

Pertanto, nel caso di infezione acuta (entro i primi 6 mesi dall’intervento) può essere pianificato un primo intervento di lavaggio in sala operatoria ed una seguente terapia antibiotica combinata specifica per un periodo che, generalmente, va dai 2 ai 3 mesi.

Nel caso in cui invece l’infezione sia cronica (oltre i 6 mesi) o il trattamento descritto precedentemente non abbia dato risultati, normalmente si procede con un intervento di rimozione di protesi, sostituita con un impianto di spaziatore (in cemento antibiotato).

Su questo spaziatore è possibile caricare, di solito entro un mese dall’intervento. In caso il paziente sia soddisfatto, può mantenerlo in sede per tutta la sua vita. In caso, invece, il paziente sia dichiarato guarito dall’infezione, ma abbia dolore è ovviamente possibile e consigliabile programmare una procedura di revisione.

Una volta raggiunta la guarigione clinica, sarà possibile procedere con l’impianto di una nuova protesi se il bone-stock (osso residuo) lo permetterà.

Nel caso, invece, in cui la causa del fallimento sia una delle prime due elencate è possibile identificare due strategie differenti di revisione, in base al bone-stock residuo astragalico.

Se la quantità di osso sano a livello astragalico è sufficiente, è consigliabile rivedere la protesi fallita con un’altra protesi “primo impianto”, evitando l’utilizzo di un impianto da revisione.

Il vantaggio è quello di risparmiare osso, riducendo l’invasività della procedura e lasciando aperta in futura la possibilità di una seconda revisione, in caso di necessità.

In questi casi, nella mia pratica, l’approccio laterale rappresenta un grande vantaggio, perché permette al chirurgo di avere una visione più ampia e diretta sull’articolazione, evitando precedenti cicatrici e adesioni profonde e permettendo una rimozione del primo impianto ed una revisione in economia biologica, ossia risparmiando il maggior quantitativo d’osso possibile.

In caso, invece, il bone-stock residuo non sia sufficiente, oggi esistono impianti da revisione che offrono grandi possibilità, permettendo di rispondere ai difetti di bone-stock anche massivi. Oggi, infatti, è possibile sostituire l’astragalo nella sua totalità (protesi di astragalo e protesi custom-made).

Sono passi in avanti offerti dalla tecnologia in ogni campo. Stampanti tridimensionali e i sistemi vision permettono, all’occorrenza, di creare strumentari dedicati per la patologia o il difetto scheletrico del singolo paziente.
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Il mio team e la ricerca: cosa abbiamo portato di nuovo

Con il mio team, abbiamo da sempre lavorato su due aspetti chiave in ambito di revisione: studio e soluzione delle infezioni e acquisizione di dati e loro interpretazione in ottica di learning-curve in chirurgia protesica.

La nostra produzione scientifica ha permesso di individuare dei cut-off, ossia dei numeri e dei confini chiari e misurabili durante il percorso di crescita del chirurgo.

Questo riteniamo sia uno stimolo ad individuare dei centri e delle équipe di riferimento dedicati alla cura dell’artrosi di caviglia per ottimizzare e migliorare sempre più il suo trattamento.

A tal fine ho personalmente contribuito alla fondazione del Registro di Chirurgia Protesica della Caviglia presso IRCCS Galeazzi, al cui sviluppo ho contribuito con entusiasmo come membro del Board, prima del mio passaggio a responsabile di Ortopedia della Caviglia e del Piede di Humanitas San Pio X nel 2019.

Si tratta di un registro nazionale che ha l’obiettivo di acquisire dati clinici raccolti dal chirurgo, unite per la prima volta alla percezione diretta del paziente.

Lo sviluppo di questo registro, con caratteristiche peculiari rispetto al passato, pensiamo sia la chiave di interpretazione futura del successo della chirurgia protesica primo impianto e revisione.

Il frutto della nostra attività scientifica va in questo senso e già a meno di un anno dall’Istituzione del Registro abbiamo pubblicato un nostro studio sul ruolo che i registri protesici hanno oggi, su come implementarli per renderli davvero utili per l’evoluzione della chirurgia protesica.

Pubblicazioni scientifiche:

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Federico Usuelli