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Stretching con lo yoga
Federico Usuelli1-set-2020 15.30.002 min read

Avete mai visto il Tendine d’Achille da questa prospettiva? – Correlazioni con la fascite plantare

 
 

Qual è il legame fra la fascite plantare e il tendine d’Achille?

La fascite plantare è un’infiammazione che comporta, nella gran parte dei casi, dolore nell’area di inserzione della fascia plantare sul calcagno, motivo per cui il paziente l’associa alla spina calcaneare.

Qual è il meccanismo? Il paziente ha dolore sotto il calcagno, viene sottoposto ad una lastra, la lastra evidenzia una spina calcaneare. Per anni medici e pazienti si sono focalizzati su questa spina come causa, in realtà la letteratura moderna e l’esperienza ci dicono che non è lì che ha origine il dolore. 

Ce lo dicono i tanti pazienti guariti di fascite plantare che si sottopongono ad una radiografia nel post operatorio e continuano ad avere la spina calcaneare. 

La causa di questo dolore, invece, è associata a un sovraccarico della fascia, che successivamente provoca dolori dove la fascia si inserisce sul calcagno.

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Il tendine d’Achille non fa male nei casi di fascite plantare, ma spesso è la causa originaria del dolore. Il muscolo tricipite (che finisce nel tendine d’Achille), infatti, esercita la propria fase di spinta sull’avampiede con il tramite della fascia plantare.

Il tendine d’Achille si inserisce sul calcagno. É in questa interfaccia che si manifestano i maggiori sovraccarichi e quindi spesso il dolore si colloca in basso, ma altrettanto spesso la cura è in alto, a livello del muscolo. Quindi curare una fascite plantare, prima ancora di pensare a terapie fisiche, a medicina rigenerativa o a chirurgia, significa mantenere allungato il tricipite.

Lo stretching come prevenzione

Conveniamo che lo stretching del tricipite è un’attività che serve per curare la fascite plantare e anche per fare prevenzione. Se non mi sono mai ammalato, ma mi riconosco nelle descrizioni di quei soggetti che possono sviluppare la patologia (colui che cambia spesso scarpe o che fa un’attività sportiva cambiando gesto tecnico o cambiando calzatura) farò dello stretching per prevenire. 

Altra cosa: se sono guarito dalla fascite plantare devo considerarmi come un malato cronico in cui mantenere l’equilibrio è fondamentale per non cadere in una recidiva, quindi continuerò ad effettuare sistematicamente stretching del polpaccio anche se sono guarito.

Quando invece il problema si cronicizza in maniera importante lo stretching da solo può non essere sufficiente a risolverlo, ma è ancora la prima cosa a cui dobbiamo ricorrere: ne va fatta almeno mezz’ora, quarantacinque minuti consecutivi, stando attenti a sollecitare il muscolo con delle ripetute graduali, ma lunghe: non di dieci secondi, ma da un minimo di un minuto a un massimo di due. In questo ci viene in aiuto l’attività fisica dello yoga: ecco perché alcune volte l’attività fisica appropriata è sia prevenzione che cura.

Lo yoga ci viene in aiuto perché non è solo stretching (pensiamo ad esempio alla posizione della piramide), ma è anche uno stimolo propriocettivo: in poche parole a piedi nudi darò degli stimoli di equilibrio, in posizioni non abituali per il piede, che mi permetteranno di ottimizzare la funzione del piede e di ridurre i sovraccarichi nella sua quotidianità. Ecco perché se ho già fatto diverse terapie ripartire dallo stretching è la chiave per un risultato di successo.

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