Tendine d’Achille: la ricostruzione in caso di lesione o rottura
In questo articolo parliamo in dettaglio di:
Il tendine d’Achille è un simbolo di elasticità e vulnerabilità. Epica.
Non solo Omero, anzi, sono i nostri eroi moderni a ricordarci la sua esistenza. Beckham, Zanetti, insomma grandi campioni e bandiere, spesso al termine della loro carriera. Questo perché? Il tendine d’Achille è indubbiamente il tendine più lungo e soggetto alle maggiori sollecitazioni del nostro corpo.
La rottura del tendine d’Achille
Al contrario di altri tendini del nostro corpo, come il tibiale posteriore o i “peronieri”, il tendine d’Achille non è avvolto da una guaina simil-sinoviale che ne supporta il nutrimento. Il tendine d’Achille, infatti, è avvolto solo da un sottile foglietto, definito “peritenonion”, che non è in grado di fornire un valido supporto vascolare.
Il nutrimento al tendine d’Achille arriva, pertanto, dal muscolo che prossimamente forma il tendine (tricipite) o dall’osso su cui si inserisce (calcagno). Ecco spiegato perché spesso il tendine d’Achille a circa 3-4 cm dalla sua inserzione (l’area più lontana da ogni supporto vascolare) va incontro ad una patologia cronica degenerativa.
Il paziente lamenta un tendine “ispessito” e dolente. Le terapie d’attacco per questo stato iniziale della patologia sono TecarTerapia e Onde d’Urto: entrambe hanno la finalità di favorire la vascolarizzazione del tendine e di risolvere la sintomatologia dolorosa.
Il più delle volte, tuttavia, non alterano il processo degenerativo innescato e non riducono il rischio di rottura del tendine d’Achille nel paziente, che può arrivare alla completa rottura.
Torna in Cima
Tendine d’Achille: l’ortobiologia
L’Ortobiologia è la risorsa per arrestare questa patologia cronica difficilmente arrestabile, prima della chirurgia. I PRP sono i fattori di crescita. Sono messaggeri biochimici presenti nel sangue di ognuno di noi. È possibile isolarli mediante un semplice prelievo di sangue, seguito da un’immediata centrifugazione. Circa 20 minuti dopo il prelievo di sangue venoso, i fattori di crescita sono così disponibili per essere iniettati a livello “tendineo”.
Esistono, poi, le cellule “totipotenti” derivanti dalla frazione “stromale” del tessuto adiposo. Più semplicemente, nel tessuto grasso di ognuno di noi esistono delle cellule, definite multi-potenti, che sono in grado di generare altri tessuti. Un semplice prelievo del tessuto adiposo ed un altrettanto semplice processo di filtraggio le rende disponibile per l’iniezione “intratendinea”. Sono entrambe tecniche innovative affidabili e sicure.
Attualmente sono il responsabile del primo studio in Europa di confronto di queste due metodiche, che rappresentano una delle più importanti novità che l’Ortobiologia ha messo al servizio della cura dei nostri pazienti.
Torna in Cima
Cura e prevenzione per il tendine d’Achille
Quando tutto questo fallisce, il tendine può andare incontro ad un processo di rottura, che il paziente spesso ricollega ad un trauma minore, ma che il più delle volte non è altro che lo stadio finale della malattia degenerativa.
Il piccolo trauma riferito dal malato non è altro che la classica goccia che fa traboccare il vaso. Guardiamo il filmato di Beckham, quando, giocando nell’A.C. Milan, si rompe il tendine. Improvvisamente si gira alle sue spalle, come se un avversario gli avesse dato un calcio da dietro. In realtà, il suo tendine si rompe spontaneamente. Questo è molto vicino ai racconti dei miei pazienti.
Torna in Cima
La diagnosi di rottura del tendine d’Achille
In caso di rottura del tendine d’Achille, è fondamentale una diagnosi precoce, che permette di ridurre il processo di “retrazione dei monconi”. Infatti, dopo una rottura completa, il muscolo tende a contrarsi ed accorciarsi e questo determina una “retrazione dei monconi”. La diagnosi è clinica, ma può essere confermata da indagini di imaging come ecografia e risonanza magnetica.
Torna in Cima
L’intervento chirurgico di ricostruzione del tendine d’Achille
Alla diagnosi precoce è importante che segua un intervento altrettanto precoce, per ristabilire la lunghezza “tendinea”. La più importante complicanza post-operatoria può essere il ritardo di guarigione della cute a livello dell’incisione. Tale condizione determina sempre un’esposizione “tendinea” ed un rischio di “sepsi” e-o “necrosi”. Per ridurre questa evenienza, oggi esistono tecniche mini-invasive di riparazione che permettono una riduzione dello stress sui tessuti molli ed una precoce guarigione.
I detrattori della mini-invasività dubitano sulla stabilità di tale riparazione, ma in un lavoro che ho condotto nel mio periodo di fellowship alla Duke University e presentato al meeting della Società Americana a Denver nel 2008 (Usuelli, Easley et all) ho dimostrato l’efficacia di tale riparazione mini-invasiva e la sua associabilità anche a protocolli di riabilitazione accelerati che prevedano un’immobilizzazione da subito a 90° per dare la corretta lunghezza del tendine dall’inizio ed una precoce mobilizzazione.
Torna in Cima
Mancata diagnosi di lesione del tendine d’Achille
In caso, tuttavia, la lesione non venga diagnosticata (succede nel 20% dei casi) la “retrazione tendinea” non rende possibile una riparazione termino-terminale. Esistono delle soluzione che prevedono dei transfer tendinei: il sacrificio di alcuni tendini per supplementare la funzione achillea mancante.
Ho recentemente presentato i risultati con una tecnica innovativa proposta da un collega italiano che lavora a Londra (il dr. Maffulli) in cui si utilizza un “allograft” (tendine da donatore) e con 2 mini-incisioni si effettua una ricostruzione a ponte davvero mini-invasiva, ma stabile ed efficace in breve tempo. Tanto è vero che i pazienti sottoposti a questo intervento presentano gli stessi tempi di recupero di quelli sottoposti a riparazione semplice.
Torna in Cima
Il ritorno in campo
Il ritorno in campo prevede un’immobilizzazione di 40 giorni a 90° e poi un carico precoce dalla rimozione del tutore. Il ritorno al passo, alla guida e alle normali attività e previsto a 2 mesi circa dall’intervento, mentre il ritorno alle attività sportive di solito avviene tra i 7 e i 9 mesi dall’intervento.
Torna in Cima
Per la foto di David Beckham si ringrazia: Paolo Bona / Shutterstock.com