La distorsione di caviglia

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La distorsione di caviglia è una temporanea perdita di contatto delle due superfici articolari che compongono la caviglia, con possibile lesione associata dei legamenti e della cartilagine articolare.

Sintomatologia della distorsione di caviglia

La distorsione può avvenire in inversione o eversione.

La sintomatologia può essere davvero varia. Tipicamente la caviglia tende a gonfiarsi, può comparire un ematoma e il dolore può variare molto ed arrivare ad essere importante anche ai minimi tentativi di mobilizzazione e di carico.

In un 10% fino al 30% dei pazienti che è andato incontro ad una distorsione di caviglia, la tumefazione, l’instabilità, il dolore e la conseguente limitazione funzionale posso persistere per periodi prolungati e tendere a cronicizzarsi.
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Le cause della distorsione di caviglia

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I fattori che possono predisporre ad una distorsione di caviglia sono svariati.

La causa principale però è un’alterata morfologia della caviglia e del piede. Infatti anomalie del retro-piede, tipicamente in varo, favoriscono il verificarsi di fenomeni distorsivi.

Altre causa possono essere squilibri muscolari, disturbi della propriocettività o semplicemente la deambulazione su terreni irregolari.
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I gradi di distorsione

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Esistono varie classificazioni tecniche che aiutano noi specialisti nel definire la gravità di una distorsione di caviglia. Infatti nel caso di una distorsione non sono solo i legamenti ad essere interessati, ma anche la cartilagine articolare. Ed è quest’ultima che può causare i problemi più importanti.

I legamenti della caviglia sono extra-articolari, di conseguenza una loro completa rottura è decisamente più rara e comunque meno grave. Nel caso di una lesione legamentosa infatti spesso si crea una cicatrice fibrosa che permette un pieno recupero.

Altre volte le lesioni legamentose sono multiple e vanno ad interessare sia il legamento peroneo astragalico anteriore (che tendenzialmente viene lesionato nell’80 % delle distorsioni di caviglia) che il legamento peroneo calcaneare. In questi casi il paziente può lamentare una instabilità residua cronica che può portarlo all’intervento chirurgico.

Come accennavo prima però, non sono le lesioni legamentose ad essere le più preoccupanti, bensì le lesioni cartilaginee: lesioni osteocondrali. La cartilagine articolare infatti può venire lesionata dall’attrito stesso che si manifesta durante una distorsione tra un capo articolare e l’altro. Ad essere danneggiata è tipicamente la cartilagine astragalica, mentre molto più rare sono le lesioni della cartilagine tibiale o le “kissing lesions” ovvero lesioni combacianti che coinvolgono sia la cartilagine articolare astragalica che tibiale.

La pericolosità di queste lesioni deriva dal forte rischio di cronicizzazione. Infatti la cartilagine non ha potere rigenerativo. Questo significa che il nostro corpo tenta di sostituire il tessuto cartilagineo con tessuto fibroso che ovviamente non ha le stesse caratteristiche e non è in grado di adempiere alle stesse funzioni.
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Perché fare la visita specialistica?

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La visita specialistica per una distorsione di caviglia è utile per valutare gli esiti di una distorsione, ma anche per capirne la gravità.

Sicuramente nella fase acuta può essere utile una radiografia per poter escludere la presenza di una frattura. Per lo studio dei legamenti e delle lesioni cartilaginee è invece indicata una risonanza magnetica. Questa infatti ci permette non solo di valutare un eventuale coinvolgimento dei legamenti, che come spiegato ci devono preoccupare in maniera minore, ma soprattutto per studiare un eventuale coinvolgimento della cartilagine. Bisogna sottolineare però che non è nella fase acuta che deve essere effettuata la diagnosi di lesione osteocondrale (lesione cartilaginea). Infatti è assolutamente probabile che dopo un evento traumatico distorsivo, l’osso sia edematoso e sofferente oltre ai legamenti stessi. Sarà però il paziente stesso a guidarci nella diagnosi differenziale indicando come sintomo persistente il dolore o l’instabilità.

Un paziente che riferisce instabilità e quindi tendenza a nuovi episodi distorsivi, cedimenti multipli, particolare difficoltà sui terreni irregolari, è un paziente che merita un’indagine approfondita per valutare l’integrità dei legamenti della caviglia.

Al contrario invece in un paziente che riferisce una sintomatologia prevalentemente dolorosa senza segni di instabilità, è bene indagare l’eventuale presenza di una lesione osteocondrale. Talvolta infatti queste lesioni si evidenziato in un secondo tempo a distanza anche di mesi dall’evento distorsivo.
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Il trattamento

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Le soluzioni in caso di distorsione di caviglia possono essere davvero varie. Per prima cosa bisogna definire se si tratta di una distorsione lieve o severa.

Nel caso di una distorsione lieve lo scarico è la miglior terapia seguita dal recupero della propriocettività. Si consiglierà quindi al paziente di deambulare con due stampelle e di effettuare della “idrokinesiterapia” cioè andare a camminare in acqua. Andare a camminare in acqua non è una banalità o un rimedio “della nonna”. Infatti camminando nell’acqua con l’acqua all’altezza del bacino, si facilita la ripresa del carico che avviene in un ambiente protetto, sospesi dall’acqua stessa. In questo modo si ha più fiducia nel camminare, non avvertendo dolore al carico, e si velocizzano i tempi di recupero.

A questo devono seguire degli esercizi di recupero della propriocettività, aiutandosi per esempio con una tavoletta propriocettivà. Questi esercizi aiutano la nostra caviglia a “riaprire agli occhi”. La caviglia dopo una distorsione infatti perde la sua capacità di rispondere agli stimoli ed è vulnerabile anche in condizioni di normalità. Il recupero della propriocettività aiuta ad una nuova pronta risposta agli stimoli esterni.

Nel caso di una distorsione severa può essere che queste terapie non siano sufficienti. Il paziente tipicamente abbandona le stampelle con difficoltà ed anche a distanza di mesi dall’evento riferisce un dolore non remittente o instabilità.

Si tratta di una percentuale minima di pazienti che però sono i veri candidati alla chirurgia. Per proporre un intervento chirurgico bisogna però capire la causa del problema. Nel caso di instabilità la causa è tipicamente da ricercare nei legamenti. Se parliamo invece di una caviglia dolente dopo un trauma distorsivo è probabile che si tratti di una lesione della cartilagine articolare. Le due problematiche possono anche coesistere.
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Lesione osteocondrale: c’è ancora spazio per le terapie fisiche?

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Una volta diagnosticata una lesione osteocondrale sintomatica è di prioritaria importanza ridurre l’edema della spongiosa. Le terapie fisiche posso essere un valido aiuto nel ridurre l’edema e quindi l’area di sofferenza intorno alla lesione cartilaginea. Infatti stimolando il microcircolo incrementano anche il metabolismo osseo e i processi di guarigione. A tale scopo sono ormai ampiamente utilizzate la magnetoterapia e la Tecar Terapia.

Nei casi però in cui la lesione sia poco responsiva ai trattamenti conservative a causa per esempio delle dimensioni o della posizione, si può ricorrere a tecniche chirurgiche assolutamente all’avanguadia.
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La chirurgia

La tecnica chirurgica da noi ideata e pubblicata su varie riviste scientifiche internazionali prende il nome di AT-AMIC.

Prevede un approccio artroscopico ed una ricostruzione cartilaginea utilizzando il potenziale biologico dell’organismo tramite nanoperforazioni che inducano la fuoriuscita di cellule “mesenchimali” in superficie.

Queste nanoperforazioni da sole non sono in grado di stabilire un ordine, ossia le cellule richiamate in superficie, lasciate a se stesse, si organizzerebbero in un disordinato gomitolo, non dando vita ad un tessuto efficiente. Ecco perché, sempre in artroscopia, utilizziamo una membrane collagenica che si comporti come una rete ordinate in cui ogni cellula trovi il suo sito. In questo modo, si rigenera un tessuto ordinate e preciso con caratteristiche vicine alla cartilagine originaria.

Ovviamente la riparazione cartilaginea isolata, in caso siano presenti altri fattori patologici, non è sufficiente a risolvere il problema. Ecco perché, se una distorsione di caviglia determina un danno cartilagineo associato ad una lesione legamentosa in grado di dare instabilità, vanno assolutamente riparati entrambe: cartilagine e legamenti.

Per la riparazione legamentosa, noi utilizziamo una tecnica sviluppata dal nostro gruppo per ridurre al minimo l’invasività e l’impatto della chirurgia sul paziente, per favorire un pronto recupero e ritorno all’attività sportiva.Si tratta di una tecnica che prevede l’impiego di un tendine prelevato dal ginocchio del paziente (semitendine), cosi come avviene nelle ricostruzione del legamento crociato anteriore o di un allograft (tendine da donatore).

È una tecnica che con solo 4 “buchini” permette la ricostruzione dei due legamenti che più frequentemente si lesionano: legamento peroneo-astragalico anteriore e legamento peroneo-calcaneale.
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I tempi di recupero

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La domanda più frequente di un paziente, e ancor di più di uno sportivo, è: quando potrò tornare “in campo”?

Il post operatoria prevede due giorni in ospedale dopo i quali si viene dimessi con un bendaggio e con il consiglio di limitare il più possibile movimenti della caviglia per evitare la mobilizzazione della membrana biologica.

Dal 15° giorno inizieranno la fisioterapia e la ginnastica in acqua (Idrokinesiterapia), per recuperare la confidenza con il carico della posizione eretta. Il recupero del carico completo comincia gradualmente dalla quarta settimana. Il paziente può dirsi soddisfatto 6 mesi circa dall’intervento, tenendo presente che, grazie al processo biologico di riparazione che prosegue nel tempo, si può avere un continuo benché lento miglioramento fino ad 1 anno dall’intervento stesso.

Alcuni esempi: il ritorno alla guida sarà concesso dopo 4 settimane; una cauta e graduale ripresa della corsa su terreni regolari sarà generalmente possibile a 3 mesi dall’intervento; attività sportive ad elevata sollecitazione per la caviglia dopo 6 mesi.

È importante, valutando questi tempi, considerare che non si accuseranno più i sintomi legati alla patologia dopo solo tre settimane dall’intervento, ma data la presenza di continui fenomeni riparativi, monitorabili con risonanze di controllo, la priorità è evitare stress meccanici che possano compromettere la qualità della riparazione cartilaginea.
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A domanda, risposta

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